Dopo l’allenamento, esce dagli spogliatoi con lo zaino in spalla, il capello umido, gli occhiali un po’ appannati e il ciuffo ribelle che gli balla sulla fronte. Imponente, si avvicina, tende la mano e, con una stretta poderosa, saluta con un largo e cordiale sorriso stampato in viso. Coach Michele “Miki” Carrea, sta vivendo il suo quarto anno sportivo in livrea rossoblu ed è sicuramente da considerare uno dei pezzi di maggior valore del prezioso scacchiere di patron Franco Curioni. Cerchiamo, seduti sulle tribune del “PalaCampus”, di farlo parlare il più possibile di lui, della sua pallacanestro, di quel che ha fatto, di quel che sta vivendo e di quello che gli piacerebbe per il futuro. Tranquillo, con voce da tenore allenata al do di petto, inizia proprio dalle sue prime esperienze da giocatore, sui parquet milanesi.
– Ho fatto un settore giovanile importante all’Olimpia Milano, dove ho imparato una filosofia non solo di pallacanestro, ma anche di vita. In quegli anni ho sacrificato tanto tempo e qualche svago; a quanti mi chiedono se, visti i pochi frutti raccolti da giocatore, rifarei tutto, non ho alcun dubbio nel rispondere che rifarei tutto con maggior convinzione! Ho giocato tanti anni nelle minors Lombarde, di quegli anni le cose che mi mancano di più, sono gli spogliatoi e il contatto con le tante persone che amano questo sport in modo incondizionato, senza la fortuna di poterlo intendere come lavoro!
Ad un certo punto, però, decidi che panca e lavagnetta sono il tuo futuro. E cominci a raccogliere soddisfazioni. In piazze importanti.
– Cominciai ad allenare all’Urania, più che un club una famiglia. Non avevo ancora neanche un tesserino da allenatore e chiesi allora a Ettore Cremascoli (il presidente), questa possibilità: fui subito assistente u17. Fu l’inizio di un lungo viaggio, accompagnato da amici che sento ancora oggi. Sentii subito belle sensazioni in quel ruolo e cominciai a convincermi che fosse il mio. Studiavo, ma già dentro di me ero certo che quello era il ruolo che volevo! Da lì Crema, poi di nuovo Urania, questa volta da allenatore e responsabile mini-basket. Poi Casale Monferrato, la mia prima esperienza da professionista; poi Siena, una tappa centrale della mia crescita tecnica, accanto ad Umberto Vezzosi, vero maestro nella gestione dei gruppi giovanili.
Quindi arrivi a Casalpusterlengo. Il tuo bagaglio è già pesante di solide esperienze. Ed è subito un successo roboante.
– Nel mio primo anno qui, la cornice era molto diversa. C’era la lega2 che catalizzava energie e attenzioni, il settore giovanile era un’aspirazione, ma non una realtà; bisognava costruire e dare energia a questa struttura dalle potenzialità immense. Conoscevo la fama di questo posto ed essere uno dei protagonisti del percorso di rinascita, era una sfida entusiasmante…
Quando già il primo assalto è vincente, cosa si può o si deve fare per migliorare?
– Vincemmo la coppa Italia (u19) e raggiungemmo le prime 8 (u17) in Italia, al mio secondo anno qui. Credo che le vittorie siano momenti di gioia, istanti indimenticabili, ma che si esauriscono nel ricordo. Quello che rimane è il lavoro che hai svolto, i rapporti che hai costruito, i giocatori che hai migliorato, i consigli giusti. La mia speranza, è quella di aver dato ai miei ragazzi gli strumenti idonei per il campo e, se possibile, anche per quello che li aspetta fuori! So di non esserci sempre riuscito, ma questo è il mio lavoro e combatterò con tutte le mie forze, perché le errate culture sportive non modifichino questo mio modo di intendere il campo!
Anche quest’anno guidi un gruppo di prim’ordine. Molti bei nomi già nel giro azzurro. L’obiettivo è sempre lo stesso: tener tutti dietro…
– Il mio obiettivo è che dopo Ferri e Pagani, c’è stato Vencato; che tra poco, ne sono certo, ci sarà Janelidze. Che il futuro è di Donzelli, Rossato, etc… Ma il mio obiettivo è anche che Sagresti, all’università, possa usare gli strumenti che il basket gli ha insegnato, che De Lillo metta la testa a posto, che Malick trovi un ruolo in cui si senta bene, che Zanazzi, ricordandosi gli anni passati qui con noi, possa sorridere! La mia gioia è vedere Venosta e Betti incitare i compagni dopo 40 minuti di panchina… E non ne nomino tanti altri per limiti di spazio! Forse alcuni di questi nomi non sono noti ai più, ma sono la mia Benzina!
E poi c’è la prima squadra. Secondo di Cece Riva, poi di Andrea Zanchi: stesso impegno, risultati differenti. Per un vice, quanta delusione dietro la bocciatura del lavoro dell’head coach e quanta soddisfazione dopo una riconferma? Dispiace o fa piacere, più per il rapporto umano, oppure a certi livelli prevale il fattore tecnico?
– L’esonero di Cece, non è stato per me solo quello di un capo allenatore, ma di un amico… Se sono un buon assistente, non devo dirlo io, ma se così fosse, è quasi solo merito di Cece: dei suoi insegnamenti, della sua pazienza, della sua lealtà e della sua incredibile competenza!
Vincere un circoletto tricolore con l’under19; guadagnare i play off con la prima squadra all’ultima partita, con l’ultimo canestro, all’ultimo secondo. Emozioni forti da gestire, ma quanto forte l’una, più dell’altra? O hai goduto gli stessi attimi di soddisfatta felicità?
– Due emozioni diverse, non voglio fare una graduatoria. Sono momenti che, chi fa questo lavoro deve imparare a gustare e lasciare lì, sempre pronti per darti altra energia quando le cose girano meno bene.
Cosa dici ai tuoi ragazzi chiamati ad affrontare un appuntamento della prima squadra? In questi frangenti, chiedi loro qualcosa di più, di diverso?
– La cosa più difficile per un giovane che fa il salto, è calarsi nella parte. Il basket è uno solo, ma il ruolo del ragazzo che entra nel mondo dei grandi, cambia. Cambia il minutaggio, cambia la richiesta tecnica, cambia il modo di relazione con il coach, gli arbitri e i compagni. Cerco di accompagnarli, di spiegar loro che le difficoltà sono normali, provo ad insegnare loro la pazienza… poi ogni tanto mi fanno incazzare. Mi trattengo perché se no do il cattivo esempio!:)
I brillantini, le paillettes del mondo dei grandi ti ammaliano, ma continuano ad essere più intriganti le sfide con gli under. Cos’è più vero, per coach Carrea?
– La mia ambizione è più legata al “come”, che non al “cosa”… Le sfide mi esaltano. Tutte quelle nuove sono sempre intriganti, ma preferisco pensare a come fare meglio e accettare quello che il destino ha in serbo per me!
A Casalpusterlengo lavori solo con atleti pronti per il salto oltre gli under, ti è mai capitato di doverti confrontare con ragazzini più giovani? Se no, pensi che potrebbe essere un’esperienza interessante? Se sì, quanto e come ha influito sulla tua crescita?
– Ho allenato bambini di 7 anni, ho fatto un gruppo u13 e uno u15 eccellenza a Casale Monferrato… Credo che un allenatore impari molto più dai suoi giocatori che dai corsi. La gradualità è stato l’elemento centrale del mio percorso!
Poi c’è il Carrea esploratore. Ti farà piacere parlare di Africa. Dell’esperienza che vivi tra un campionato e l’altro, con Tommy Marino e Bruno Cerella. Cosa bolle in pentola sul fronte “Slums dunk”? Novità? Programmi?
– “Slums dunk” cresce e vuole essere sempre più ambizioso. I corsi e il lavoro estivo, sono ormai rodati e la continuità non può che aiutare ad essere sempre più bravi e più utili! La volontà mia, di Bruno e di Tommy, è quella di organizzare a Nayrobi una scuola stanziale di basket. Questo progetto passa attraverso la costruzione di un campo e altre difficoltà che stiamo affrontando piano piano, grazie all’aiuto di tante persone (molti tifosi Assigeco), che ci sostengono e ci danno fiducia!
Nell’ottocento si andava nel Continente nero con fucile e sahariana. Oggi voi partite con palle a spicchi, canotte Assigeco, felpe NBA e tanta voglia di…
– Condividere, provare, mettersi alla prova… Sono stato in Africa 5 volte e un giorno vorrei davvero riuscire a mettere per iscritto tutto quello che ho trovato. Temo non basti quest’intervista, quindi uso questo spazio per dire che l’Africa mi ha dato una cosa su tutte: “consapevolezza”!
Vivere un’esperienza così, in compagnia di un estroverso (eufemismo sicuramente arrotondato per difetto…) come Tommy Marino, deve produrre una quantità enorme di gustosi aneddoti. Raccontaci qualcosa che abbia il colore dell’Africa, il calore dell’amicizia, il sapore della solidarietà.
– La cosa più scontata da dire su Tommy in Africa, è che quando parti, sei sicuro di una cosa su tutte… lui, la seconda settimana, si ammala!:-) A parte gli scherzi, Tommy è stato un compagno di viaggio ideale, ha il basket dentro e con il basket riesce ad entrare nel rapporto con i ragazzi. Bruno ci mette allegria, progettualità, incoscienza e una dose incredibile di energia… Io sono il rompipalle, quello che prepara le lezioni, che pone i problemi, che vuole arrivare puntuale, che si incazza quando ai corsi qualcuno non capisce. Loro mi aiutano a sdrammatizzare e sanno rendere le settimane meno pesanti! Il loro sorriso nei campi africani è la più bella immagine di “Slums Dunk”. Io sono dietro le quinte, loro mi sopportano. E’ la squadra… Ognuno ha il suo ruolo!:)
Carrea uomo, ad ogni ritorno, cosa lascia in Africa e cosa si porta via, da tenere per sé o da offrire ai suoi ragazzi?
– Quando andai la prima volta in Kenya, avevo 19 anni. Quello che ho dentro risale ad allora. E’ un perenne conflitto tra ciò che è giusto e ciò che è necessario; una guerra combattuta senza armi, tra ciò che è etico e ciò che è reale… non ho modi più chiari per descriverlo. Spero sia sufficientemente chiaro! Quello che vorrei offrire ai miei ragazzi, è il gusto di porsi la domanda al problema… “E’ giusto?”
Un’ultima cosa. Quel gonfalone che campeggia lassù, là in alto. Hai vinto con un gruppo favoloso di under19. In controluce sembra quasi di leggere stampato il tuo nome. Un tassello importante di storia della nostra Società. Un gradino in rilievo nella scala dei tuoi successi. Una scala che vorresti arrivasse fino a…
– Quello che è vinto rimane, felice di aver contribuito a quella vittoria in questo club! Non pongo un limite alla mia scala; non per arroganza, né per ambizione. Solo per ottimismo! Questi sono anni in cui si sente parlare solo di difficoltà e di cose impossibili, ascolto con dispiacere la disillusione di molti italiani, in questo e in altri settori… Mi spiace, ma non mi allineo!
Ottimista e costruttivo. Coerente. Da noi, tutta l’ammirazione possibile. Michele Carrea, impegnato in primissima persona nel programma “Slums dunk”; coach under19 Eccellenza e vice di coach Andrea Zanchi in AdeccoSilver con l’Assigeco. Intelligente, poliedrico, impegnato su più fronti. Figura interessante, affascinante. Ci alziamo. Si passa la mano fra i capelli a ricomporre la chioma, sorride, saluta, ringrazia e se ne va. Grazie a te Michele. Buon lavoro e in bocca al lupo.