Game, set and match.
La sconfitta pesante subita in ACB contro il Baskonia è costata la panchina del Barcelona Lassa a Sito Alonso. Come in uno scherzo del destino, è stata proprio la squadra che Alonso aveva portato in alto nella scorsa stagione a segnare il capolinea dell’esperienza dell’emergente allenatore spagnolo alla guida dei catalani. Lui, Alonso, che ha voluto alzare l’asticella in estate, provare a fare quel salto di qualità che solo la vittoria di qualche trofeo in stagione avrebbe potuto fargli fare. Consacrandolo magari al tavolo dei grandi allenatori d’Europa. E invece, Alonso, è stato respinto all’esame di laurea, all’ultimo step, quello più difficile: diventare un allenatore vincente.
Difficile trovare qualche aspetto positivo nella stagione dei catalani, attualmente tredicesimi in EuroLega, a un passo dal non qualificarsi ai playoff per il secondo anno consecutivo, e in campionato costretti a inseguire Real Madrid e Valencia, che viaggiano spedite verso i primi due posti in regular season. E dire che la stagione era iniziata sotto i migliori auspici, una larghissima vittoria contro il Panathinaikos dell’ex Xavi Pascual, con un Heurtel versione metronomo e un Seraphin incontenibile sotto le plance. Era ottobre, sembra passata una vita. Quel Barcelona che sembrava potere tornare a competere ad alto livello si è sbiadito, è appassito, è caduto in una mediocrità a tratti sconcertante: Alonso non è mai riuscito a cambiare un destino che pareva segnato da tempo. Le ultime gare hanno allungato l’agonia di un allenatore che non sembra essere mai entrato in feeling con la squadra, composta da tanti elementi di talento ma mai realmente connessa e concentrata sul raggiungimento di un obiettivo comune. L’esonero di Alonso segna la sconfitta di tutto lo staff tecnico e dirigenziale, che non ha badato a spese per tornare ai vertici e ora si ritrova a dovere sperare nel rush finale in Spagna da qui a fine anno per togliersi qualche soddisfazione.
FALLIMENTO TECNICO – Un mercato rivelatosi fallimentare, quello dei catalani nella scorsa estate. Tanti nomi, poco amalgama: Seraphin ha avuto alti e bassi ma ha offerto un rendimento solido, Heurtel ha cercato di salvare la baracca nelle difficoltà, tutto il resto da azzerare. Sanders ha fatto la spola tra campo e mancate convocazioni, Pressey è parso fin da subito un pesce fuor d’acqua per il livello europeo e il tanto inseguito Hanga sembra essere la brutta copia di quel giocatore formidabile apprezzato lo scorso anno al Baskonia e su cui il Barcelona Lassa ha investito pesantemente in estate.
Alonso non è mai stato in grado di trovare le misure alla squadra, troppi giocatori sono passati dall’essere ai margini del progetto a protagonisti inattesi nel corso delle gare, mai c’è stata una continuità tecnica nelle decisioni di un allenatore che si è trovato ben presto in balia degli eventi e non è riuscito a riportare sui giusti binari una squadra partita con un solo scopo in testa: vincere, e rompere l’egemonia perdurante negli ultimi anni del Real Madrid in Spagna. Niente di tutto ciò, il gioco ha spesso latitato, si è cercato di sopperire con iniziative individuali alle carenze o alle mancanze nel roster: il risultato è stato uno stile di gioco spesso ristagnante, fermo, inefficace. Alonso non ha dato un’anima a una squadra in cui convivono tante anime diverse, questo è stato il suo più grande errore.
Le frizioni con il General Manager del club Nacho Rodriguez, espresse da Alonso ancora prima dell’ufficialità di Edwin Jackson: “Jackson è un buon giocatore, ma possiamo avere e prendere anche giocatori migliori di lui” non hanno aiutato l’allenatore madrileno, che soli 234 giorni dopo il suo insediamento da allenatore del Barça è stato esautorato.
IL BARCELONA AI CATALANI – Il grande errore della dirigenza è stato, forse, scegliere un allenatore emergente e capace di riscuotere consensi nelle squadre allenate, ma senza quel pedigree o quel carisma necessari per guidare un gruppo di stelle, o presunte tali, come è il Barcelona Lassa. La mancanza di un’unità di intenti – che Ettore Messina ha definito come una delle cose più difficili da ottenere per un allenatore – è stato accentuato dal fatto che quasi nessuno dei giocatori sentisse la maglia del Barcelona come cucita addosso sulla pelle. O forse i giocatori hanno sentito troppo questa pressione: Juan Carlos Navarro, il simbolo del Barça, più di una volta ha provato a scuotere, nei minuti sul parquet, un gruppo di giocatori che sembravano incapaci di reagire a quanto accadeva in campo. E non è un caso che gli sprazzi migliori dell’annata dei catalani siano arrivati nei minuti in cui il capitano di mille battaglie è stato in campo. Come lui, anche Ante Tomic: il croato non correggerà più i difetti che lo hanno accompagnato per tutta la carriera, rendendolo un giocatore probabilmente peggiore di quanto avrebbe potuto essere, ma in questa stagione difficile ha spesso offerto un contributo di sostanza, ha dato una mano a una squadra in evidente difficoltà e colpita da scoramento nel corso di una serie di prestazioni europee a tratti anche angoscianti.
Gli alti e bassi hanno contraddistinto tutta la stagione dei catalani, capaci di battere il CSKA Mosca ma al tempo stesso crollare con la Stella Rossa Belgrado, perdere due volte in malo modo contro Milano, crollare contro Bamberg dopo avere avuto 26 punti di vantaggio alla prima sirena o perdere dopo avere rimontato 25 punti in un quarto al Baskonia in EuroLega. Mai una striscia di vittorie consecutive, mai la sensazione di potere svoltare: è mancata l’unità del gruppo, che solo un uomo forte e catalano potrebbe dare.
LA SOLUZIONE? JASIKEVICIUS, O FORSE NO – Vero, Saras non è catalano. Ma è catalano acquisito, ha giocato e vinto tutto con il Barcellona, ama la città, ci trascorre le vacanze. Sta incantando l’Europa con una pallacanestro fatta di spaziature e movimenti, gioca come il Fenerbahce senza avere il talento e il budget del Fenerbahce. In Catalogna Saras è sempre stato visto come l’uomo giusto, tanto che in estate Rodriguez lo aveva individuato come il profilo perfetto per rilanciare la squadra ai vertici europei. Ma è stato lo stesso Jasikevicius a definire, alcuni mesi dopo, la proposta del Barcelona “una delle peggiori che abbia mai ricevuto in carriera, quella dello Zalgiris era migliore”.
Quindi spazio ad Alfred Julbe, che potrebbe essere molto più di un allenatore ad interim. I nomi sulla piazza sono quelli di Radonjic, fermo dopo la conclusione dell’esperienza con la Stella Rossa Belgrado, e Velimir Perasovic, esonerato dall’Efes in stagione. Ma forse nessuno dei due ha il physique du role per guidare i catalani, che hanno bisogno di una persona che conosca e compatti l’ambiente in vista di questo finale di stagione.
Ed ecco allora che Julbe, che ha alle spalle una lunga esperienza da allenatore di squadre ACB, potrebbe giocarsi al meglio le proprie carte, visto che l’EuroLega dei catalani è quasi terminata, salvo improbabili e, al momento non pronosticabili, colpi di scena. Vincere o fare bene in patria potrebbe rilanciare le sue quotazioni agli occhi di Rodriguez: Julbe potrebbe davvero essere l’uomo del destino, in questo anno zero del Barcelona.