David Stern e la rivoluzione del basket FIBA

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Fonte FIBA

A seguito della sua scomparsa, si è parlato tanto e doverosamente del ruolo che David Stern, Commissioner della NBA dal 1984 al 2014, ha avuto nel portare la lega a livelli mai neanche immaginati prima del suo arrivo.

Tra i tanti traguardi che si devono a Stern, la globalizzazione del gioco sicuramente ha un ruolo di primo piano per comprendere la sua legacy. D’altronde pensiamo che nel 1984, le NBA Finals leggendarie fra i 76ers di Erving e i Lakers di Magic furono trasmesse in differita (!!!) negli Stati Uniti, mentre oggi vanno in diretta in oltre 200 paesi del mondo in 40 lingue diverse.

Oggi siamo arrivati anche ad avere 108 giocatori internazionali in NBA. Questa crescita vertiginosa degli atleti non USA, fenomeno che ha generato poi l’apertura di tantissimi mercati (pensiamo oggi quanto siano utilizzati gli atleti delle grandi squadre come cavalli di Troia in territori inesplorati), c’è un momento fondamentale che divide il prima e il dopo: le Olimpiadi di Barcellona del 1992, le prime giocate dai professionisti americani della NBA.

Per capire la portata storica dell’evento, che va ben oltre il valore assoluto di quella che da molti è ritenuta la squadra migliore mai assemblata, ci rifacciamo a “Dream Team”, il libro scritto dall’insider americano Jack McCallum, che prende il titolo proprio dalla nazionale americana che si presentò a Barcellona con – tra gli altri – Michael Jordan, Magic Johnson e Larry Bird.

Borislav Stankovic, al tempo Segretario Generale della FIBA, dopo molti viaggi negli Stati Uniti si era convinto che bisognasse rinunciare alla clausola che prevedeva che i soli atleti dilettanti potessero partecipare ai Giochi, in modo di permettere ai migliori giocatori NBA di vestire la maglia della propria nazionale.

Pensiamo che il tedesco Detlef Schrempf, che guadagnava circa 500.000 dollari in NBA, non poteva prendere parte alla manifestazione olimpica, mentre la leggenda brasiliana Oscar Schmidt, che prendeva circa 1 milione per giocare in Italia, poteva farlo per il suo status da dilettante.

Il problema era chiaro a tutti, ma solo quando fu il momento di Stern di prendere in mano le redini della lega iniziò un serio percorso di internazionalizzazione della NBA, con l’obiettivo dei Giochi Olimpici.

Il primo passo fu nel 1987 con l’organizzazione del primo McDonald’s Open a Milwaukee, primo evento di sempre con squadre NBA e squadre FIBA, a cui parteciparono i Bucks padroni di casa, insieme all’Olimpia Milano ed all’Unione Sovietica.

Ma il processo non si fermò qui: prese quindi forma il Dream Team, che grazie alla cooperazione di Stankovic e Stern riuscì a superare l’enorme barriera presente ai Giochi Olimpici, ovvero l’impossibilità dei professionisti di prendervi parte.

Proprio durante la sua introduzione nella FIBA Hall of Fame, avvenuta nel 2016, Stern disse: “Sono molto orgoglioso della mia collaborazione on Borislav Stankovic per unire e rafforzare lo sport del basket a livello globale”.

Tra le mille tracce di sé che ha lasciato David Stern, ricordiamoci anche questa: se ci siamo potuti godere la squadra migliore di tutti i tempi a Barcellona nel 1992, se ci siamo gustati una delle più belle partite mai viste – la finale tra USA e Spagna a Londra 2012, e se possiamo sognare un’edizione di Tokyo 2020 piena di stelle NBA provenienti da tutto il mondo, lo dobbiamo alla sua visione globale ed a quella di Borislav Stankovic.