Vincente. E’ questa la definizione migliore di Maurizio Gherardini, General Manager del Fenerbahce Dogus campione d’Europa e protagonista dei successi della Benetton Treviso a cavallo tra gli anni Novanta e Duemila. Manager a 360 gradi, ha vissuto da protagonista anche l’esperienza NBA prima ai Toronto Raptors e poi agli Oklahoma City Thunder e nel 2014 è tornato in Europa. Ha scelto il Fenerbahce e le sue ambizioni per scrivere nuove pagine indelebili di storia della pallacanestro europea. L’obiettivo? Facile, vincere. Lo scorso anno la squadra turca ha conquistato la prima EuroLega della sua storia, coronando un triennio di assoluto livello in Europa e dando nuova spinta al progetto di crescita del Fenerbahce, che in estate ha visto l’ingresso del gruppo Dogus come main sponsor.
Maurizio, partiamo da qui. Quarta Final Four consecutiva per il Fenerbahce: come si costruisce un modello così vincente?
“Non ci sono formule magiche: la base è avere un’idea e condividerla con il club e lo staff tecnico, individuare l’obiettivo finale e raggiungerlo. Si cambia in base alle esigenze, rispetto a quattro anni fa è rimasto solo un giocatore di quella squadra con noi, siamo stati bravi a scegliere i giocatori che ci avrebbero permesso di migliorare e di crescere. Siamo stati anche fortunati, ma l’importante è che ci siano chiarezza e condivisione degli obiettivi che si vogliono raggiungere per potere crescere”.
Più volte ha detto che l’obiettivo del Fenerbahce è essere nell’élite europea, nelle migliori quattro squadre d’Europa. Ora che vi siete consolidati a questo livello, le chiedo: è più facile arrivare nell’élite o rimanerci?
“Credo che sia molto più difficile rimanere nell’élite, mantenersi a quel livello. Arrivarci per un anno è possibile, può accadere qualcosa di magico in una stagione che porta ad essere al massimo livello europeo, non necessariamente serve avere una grande programmazione per arrivare una volta nell’élite. Bisogna considerare che l’EuroLega è la lega migliore di gioco dopo la NBA e ci sono sedici squadre agguerrite che all’inizio della stagione vogliono raggiungere il traguardo finale. Arrivare alla Final Four, secondo me, è il marchio della stagione di una squadra: essere costantemente nella crema delle migliori squadre europee è prestigioso”.
Passando all’imminente Final Four, il vostro avversario sarà lo Zalgiris: sorpreso dal loro risultato e dalla bravura di Jasikevicius?
“No, non sono sorpreso più di tanto da quello che hanno fatto: a livello societario, infatti, lo Zalgiris è un perfetto esempio di capacità di riorganizzazione dopo i problemi che hanno avuto in passato. Hanno una base solida e hanno fatto un ottimo lavoro di scouting, e poi ci sono due fattori che sono determinanti. Il primo, lo hai già anticipato, è Jasikevicius, che rappresenta il miglior giovane allenatore europeo in questo momento. Tra l’altro ha un legame molto forte con Obradovic, siamo in ottimi rapporti con lui e con lo Zalgiris. Il secondo fattore è Kaunas, che rappresenta l’espressione migliore di un paese in cui la pallacanestro è lo sport nazionale e viene vissuta con grande passione: lo Zalgiris gioca una pallacanestro molto bella, per certi versi simile alla nostra, e grazie all’ottimo lavoro che è stato compiuto a livello di scouting e coaching molti giocatori sono esplosi e si sono affermati ad alto livello europeo”.
Jasikevicius recentemente ha dichiarato che sarà difficile lasciare lo Zalgiris perché ci sono poche organizzazioni migliori in Europa. Traendo spunto dalle sue parole, le chiedo come il Fenerbahce sia diventato un posto, una squadra in cui i grandi giocatori, negli ultimi anni, hanno scelto di andare a giocare.
“Credo che la cosa importante sia cercare, nei limiti del possibile, di presentare ai giocatori il progetto e lo sviluppo che si vuole dare al progetto stesso. Allo stesso tempo, nel nostro caso siamo agevolati dall’essere un club di grandi dimensioni, che ha 30 milioni di tifosi, e dall’essere guidati da un allenatore che è leggendario in Europa. Ma va anche detto che, oltre a questo, serve avere delle idee chiare su quello che si vuole fare e avere un supporto organizzativo di primo livello che consenta ai giocatori di concentrarsi solo sulla crescita e sullo sviluppo del progetto”.
La storia recente di EuroLega dice che alle Final Four spesso sono arrivate le stesse squadre, in questo lo Zalgiris ha rappresentato un’eccezione. Pensa sia possibile, in futuro, che anche altre squadre raggiungano le Final Four?
“La bravura dello Zalgiris è stata affidarsi a un allenatore giovane e affidargli in mano le chiavi del progetto, condividere con lui tutte le scelte che sono state fatte e il resto è venuto da solo: non a caso questo ha portato a grandi risultati, perché loro giocano una pallacanestro di grande qualità. Il fatto che ci siano riusciti loro, che hanno un budget decisamente inferiore a squadre come noi, il Real ma anche alla stessa Milano dimostra che la strada che hanno percorso loro può essere percorsa anche da altre squadre nel corso dei prossimi anni”.
Guardando al futuro, pensa che l’allargamento del numero di squadre in EuroLega possa portare a un aumento della competitività oppure a un aumento del gap tra le formazioni che giocano i playoff e le altre?
“Credo che EuroLega si stia consolidando come progetto, si vuole toccare con mano i progressi che vengono fatti e si vuole sapere che questo confermi la crescita in atto, l’espansione del mercato. Il mio pensiero è che a inizio anno vedo sedici squadre agguerrite che hanno l’obiettivo di raggiungere le Final Four e fanno di tutto per arrivare a quell’obiettivo: la crescita avuta nel corso degli ultimi anni testimonia lo sviluppo reale del prodotto e credo che l’allargamento del numero di squadre non cambi la situazione e gli obiettivi di miglioramento di EuroLega”.
A proposito del futuro: crede davvero che il Panathinaikos possa lasciare l’EuroLega? Questo potrebbe creare un precedente pericoloso per altre squadre?
“Ti rispondo dicendo quello che ho già detto in altre occasioni: credo che non ci sia nessun club in EuroLega che non voglia avere il Panathinaikos in EuroLega. Stiamo parlando di una squadra che ha contribuito a fare crescere il brand della competizione, oltre a essere una delle più vincenti in assoluto. Mi auguro che si riesca a trovare una soluzione che faccia sì che il Panathinaikos possa rimanere in EuroLega, ma al tempo stesso deve essere chiaro che l’obiettivo di EuroLega è quello di fare crescere il proprio brand, è la priorità”.
Per quanto riguarda il Fenerbahce, quanto è importante avere un campionato nazionale così competitivo per avere successo in Europa? Di riflesso, questo si riflette anche alle squadre turche, come il Darussafaka che ha vinto l’EuroCup quest’anno, il Galatasaray due anni fa.
“Il campionato nazionale sicuramente è duro e non ci sono partite facili, si può perdere contro tutti: è una situazione diversa rispetto ad altre in cui i campionati nazionali sono più soft. Questo, considerando il fatto che dobbiamo gestire gli stranieri in campionato, ci permette di provare soluzioni diverse a seconda degli avversari che affrontiamo: non è possibile rilassarsi, perché nessuna gara è scontata. Di conseguenza, la grande qualità del campionato turco aiuta a gestire la pressione presente nelle partite europee: a lungo andare le difficoltà che incontriamo possono stancare la squadra, ma sicuramente potersi misurare con squadre di alto livello ci aiuta”.
Un’ultima cosa: lei e Obradovic siete ai vertici europei da venticinque anni. Quali sono gli ingredienti per rimanere in alto per così tanto tempo?
“La ricetta è semplice: tanta passione e tanto lavoro. Lavoriamo 24 ore al giorno, sette giorni la settimana. Abbiamo una comunicazione continua che ci permette di migliorare, dal confronto quotidiano scaturiscono dei miglioramenti che sono utili. Tutti noi commettiamo degli errori, è normale, è la vita, ma la capacità di analizzarli e correggerli è necessaria e nasce dalla comunicazione e dal confronto che abbiamo continuamente. Essere affamati e avere passione sono le chiavi che portano un club ad avere successo”.