17 settembre 2017. La Spagna porta a casa l’ennesima medaglia europea – sesto podio consecutivo ad EuroBasket, con 3 ori, 2 bronzi e 1 argento, striscia peraltro interrotta solamente dal 4° posto dell’edizione 2005, altrimenti i podi consecutivi sarebbero dieci – ma vede salutare due colonne portanti come Pau Gasol e Juan Carlos Navarro. Sul primo, visto giocare in qualche VHS e in pochi spezzoni di highlights NBA – mondo che proprio non riesco a seguire, per colpe unicamente mie – non potrei dire granché, se non le solite trite e ritrite banalità che si sprecano in questi ultimi anni: non difende, a volte è più un problema che una risorsa, classe cristallina ma ormai poca voglia. Affermazioni vere? Probabilmente in parte sì, ma non vorrei poi ritrovarmi parte di un processo mediatico a uno dei più grandi interpreti europei di questo gioco.
Su “El Rey“, invece, credo di poter dire qualcosa di più sensato e – forse – innovativo, avendolo preso a idolo sportivo ormai molti anni or sono. Innamorarsi di un giocatore a volte non è una scelta, quanto piuttosto una necessità per ritrovarsi poi ad amare uno sport che inizialmente quasi si schifava; successe così, quando vidi per la prima volta uno di quegli arcobaleni disegnati nell’aria sovrastante un parquet da un giocatore che spiccava per avere un fisico “normale” rispetto a sculture dall’aspetto marmoreo pur essendo fatte di muscoli. Il colpo di fulmine fu immediato, così potente da rompere ogni mio pre-concetto su uno sport che ritenevo davvero noioso e con poche declinazioni; così esplosivo che, a distanza di anni, mi ritrovo a dedicare gran parte del mio tempo alla pallacanestro giocata e non. Navarro è stato, per me, come il primo amore, quello adolescenziale che si ritiene infinito, destinato al dolce oblio dell’eternità.
Passare dal colpo di fulmine travolgente al costante lavoro di mantenimento della passione non è stato semplice, anzi. A stagioni incredibili, come quella del 2011 in cui Navarro è incoronato come MVP dell’EuroBasket dopo aver dominato in Liga, sono corrisposte annate piene di infortuni – maledetta fascite plantare – e avare di soddisfazioni e/o trofei. Nonostante ciò, l’importanza de “La Bomba” all’interno dello spogliatoio catalano e di quello della Nazionale non è stata intaccata dalla ruggine del tempo, perché probabilmente pochi come Navarro hanno saputo interpretare il ruolo di “collante” nello spogliatoio. Non è un caso che lo stesso Pau – e il fratello Marc – siano subito andati a rendergli omaggio, senza manco godersi un bronzo appena conquistato non senza fatiche e giocando come migliori interpreti del match; non è un caso che Scariolo si sia fermato a parlargli prima dell’ingresso nello spogliatoio per dare il via alle celebrazioni di rito, più di quanto abbia fatto con chiunque altro.

Perché sulla convocazione di Navarro a questo EuroBasket non pochi hanno storto il naso, forse non del tutto a torto. Oggi il capitano è un giocatore che può dare sicuramente poco alla propria squadra rispetto a quanto avrebbe potuto fare in un 2011, appunto. Ma ciò è vero solamente se ci fermiamo ad analizzare numeri, statistiche, fasi di gioco senza prendere in considerazione il ruolo e l’importanza che “El Rey” ha come icona, certo non unica, del movimento cestistico spagnolo. Dal lontano Mondiale Under-19 del 1999, vinto in Finale contro Team USA anche grazie ai suoi 25 punti e 6 assist, di acqua sotto i ponti ne è passata tantissima, ma se una Nazione, fortemente divisa tra localismi e potenziali indipendentismi, si riconosce idealmente in un giocatore simbolo della catalanidad, significa che non ci si può fermare alla pallacanestro giocata per capire quanto Navarro sia imprescindibile.
Se una Nazione intera ti dà il soprannome di “Re”, non solo per uguaglianza di nome anagrafico con il proprio vero monarca, significa che la tua impronta nella pallacanestro è – e rimarrà – indelebile, certo non unicamente per il fatto che tu sia diventato recordman di presenze con la maglia delle Furie Rosse. L’amore spasmodico per la pallacanestro è ciò che ha reso Navarro l’icona di una Spagna che in lui ha trovato la sintesi della rivalità tra Madrid e Barcelona, tra Castiglia e Catalogna, tra Blancos e Azulgrana. Un amore viscerale, incondizionato, da cui trarre insegnamento per portare a più aulici livelli la pallacanestro, non solo continentale. Un amore che spiega ancora oggi come Navarro, a 37 anni, sia un elemento imprescindibile in qualsiasi competizione, a prescindere da quanti punti, assist, difese e quant’altro possa apportare alla causa.
Eppure il tempo è maggior tiranno di qualsiasi possibile monarca primus super partes, perciò anche “El Rey” si trova nella condizione di dover dire basta, di smettere con la Nazionale e, a breve, con la pallacanestro giocata. L’ultima certezza, tuttavia, è che questi anni travagliati, costellati di problemi fisici e di risultati non certo all’altezza di un fenomeno del genere – specie col Barça – non hanno prolungato l’agonia di un giocatore sul viale del tramonto, ma ci hanno semmai offerto la possibilità di continuare ad ammirare un uomo che alla pallacanestro ha dato semplicemente tutto. Pertanto, questa penultima abdicazione è soltanto un monito per tutti: una corona non può smettere di cingere la testa di un sovrano, se l’eternità è pronta ad accoglierne le gesta.
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