L’ Olimpia Milano ha mancato, per la terza volta di fila, la vittoria della Coppa Italia, nonostante un budget sempre molto superiore a quello di tutte le altre concorrenti, e ormai non ci si può più esimere dall’analisi di quanto successo finora. La chiusura della quattro giorni di Coppa Italia rappresenta quindi una buona occasione per fare il punto della situazione all’interno delle varie squadre, sopratutto per quanto riguarda l’Olimpia Milano. Lo scopo dovrebbe essere quello di capire non solo le speranze di successo dei due obiettivi rimasti (partecipazione ai playoff di EuroLega e vittoria dello scudetto), ma anche, e soprattutto, per guardare al di là della singola stagione e rendersi conto se almeno stia succedendo qualcosa di buono che possa essere portato anche negli anni a venire, per il completamento del progetto di una cultura sportiva vincente, tanto sbandierato da Ettore Messina.
Cosa è successo finora all’Olimpia Milano.
I problemi manifestatisi nel corso di questa stagione, e che rischiano seriamente di comprometterne il prosieguo in termini di risultati, sono ormai noti. Cominciamo dal fatto che Messina ha, molto semplicemente, sbagliato totalmente due scelte chiave sull’assegnazione di altrettanti ruoli fondamentali per far quadrare tecnicamente il proprio roster. Parliamo, naturalmente, del playmaker abile in difesa e capace di controllare il ritmo con mano ferma e dell’ala grande bidimensionale, ovvero capace di minacciare le difese sia con il proprio tiro da fuori che con l’energia sotto ai tabelloni.
Senza queste due figure, ogni squadra di Messina è destinata a far fatica, e sia Shelvin Mack che Aaron White hanno fatto un’enorme fatica fin da subito, tanto che il loro rendimento ha spinto Messina ad allontanarli nel giro di qualche mese. Probabilmente, avrebbe avuto più senso aspettare per entrambi, visto il pedigree importante e il fatto di essere alla prima esperienza europea per il play e visto ciò che aveva fatto vedere allo Zalgiris per il lungo, ma, in entrambi i casi, soprattutto perché non era possibile sostituirli e perché le alternative già presenti a roster non erano certamente di grande affidamento.
Si è, infatti, scelto di provare a colmare un’altra lacuna di questo roster, ovvero la mancanza di punti nelle mani dal perimetro. I visti per gli extra-comunitari sono così stati usati in quest’ottica, con le aggiunte di Kiefer Sykes e Drew Crawford, e così ora si deve andare avanti senza due puntelli che sarebbero necessari per la messa in atto delle idee messiniane. Va anche sottolineato, in quest’ottica, il pasticcio Xavi Rey, messo a roster in una gara non importante come quella contro Trieste, e che, una volta tagliato, ha impedito di cercare un tesseramento migliore per il campionato. Certamente una gestione non all’altezza di un nome come Messina.
Cosa si sta vedendo in campo.
Con il roster attuale, l’Olimpia Milano deve andare avanti con una regia che, quando non è in campo Rodriguez, può ancora stare in piedi in Italia, ma è balbettante in EuroLega, e con rotazioni ridotte rispetto all’inizio della stagione, perché, appunto, mancano le due figure di cui sopra, e inoltre, si sa che più le partite diventano importanti, più ogni coach vuole dare più minuti possibile a chi gode della sua fiducia. C’è, poi, un ulteriore problema, ovvero una suddivisione delle responsabilità non ideale, o comunque non conforme a quella delle migliori realtà europee.
Se prendiamo, ad esempio, il Real Madrid, la rosa è composta da tanti giocatori pronti a ergersi a protagonisti quando chiamati in causa, che sia in una delle 34 partite di regular season o nella finalissima. Esempio più lampante, Causeur migliore in campo nella finalissima di Belgrado due anni fa, pur essendo piuttosto indietro nelle gerarchie. Al posto del francese, avremmo potuto trovare l’inossidabile Jaycee Carroll, Thompkins o una qualsiasi altra “riserva”.
Tra virgolette perché di riserve il Real non ne ha, mentre Milano ha tanti ottimi giocatori, ma di campioni che risolvono le situazioni che scottano? Rodriguez, Scola, Micov, tutti sopra i 33 anni. Nessun altro offre garanzie in questo senso, eppure si tende ad attribuire molte colpe ai tre citati, senza tener conto che, nel caso del Chacho, non ha un fisico per giocare 35 minuti a partita, infatti col CSKA aveva De Colo, Higgins e Clyburn ed essendo fresco, nei momenti decisivi era sempre letale, mentre, per quanto riguarda Scola, è l’uomo delle partite secche, che può farti vincere contro chiunque. A 40 anni non può e non deve giocare tanto all’interno di una Regular Season.
Invece, loro due, così come Micov, devono giocare tanto, e quando i tre elementi più importanti non hanno i 40’ (ma nemmeno i 30’) nelle gambe, succede che, nel corso della stessa partita, il rendimento sia clamorosamente ondivago, con la squadra che, per alcuni minuti, è concentratissima in difesa e concreta in attacco e poi, di colpo, è sempre in ritardo nella propria metà campo e non sa cosa fare in quella avversaria. Eppure, questa è la Milano di oggi, e viene difficile immaginarsi un’inversione di tendenza da qui fino a fine stagione. La verità è che, allo stato attuale, giocano sempre quintetti diversi, non c’è un leader e, se si volesse pensare solo all’immediato, questo roster lunghissimo andrebbe asciugato.
Quali cambiamenti ci vorrebbero nell’Olimpia Milano.
Un progetto complesso come quello che ha in mente Messina, però, non si costruisce in una sola stagione, per cui è importante avere pazienza, in modo da poter effettuare la miglior analisi possibile e capire se, nelle prossime stagioni, si possa dare continuità a questo 2019-2020, o se sia tutto da buttare e si debba ricominciare da capo. Di sicuro, vanno trovati i due giocatori che sono tanto mancati quest’anno, e, in entrambi i casi, la ricerca appare tutt’altro che facile.
Ci vuole qualcuno che abbia una comprovata esperienza a livello EuroLega, non sia troppo avanti con gli anni, vista l’età media del roster attuale, e che ritenga che la scelta migliore per il proprio futuro sia venire a Milano per un progetto intrigante ma a lungo termine e non accasarsi presso una qualche big europea, che garantisce sia maggiori possibilità di vittoria nell’immediato, che un maggior rimpinguamento del conto in banca. Al momento, per lo spot di ala grande non viene in mente nessuno di davvero papabile, mentre il playmaker potrebbe essere quel Lorenzo Brown di cui si era già vociferato e che sembra perfetto per le necessità di Messina. Siamo, comunque, nel puro campo delle ipotesi.
Quando una stagione va male, poi, bisogna anche pensare ai giocatori in uscita, e non solo a quelli in entrata. I primi nomi che vengono in mente sono quelli di Gudaitis, chiaramente non a proprio agio con ciò di cui ha bisogno Messina, Della Valle, che dall’inizio del 2020 non ha stranamente più la fiducia del coach, Roll, giocatore troppo monodimensionale per le idee di Messina, e Sykes, che è evidentemente inadeguato all’EuroLega, visto che da quando è arrivato Crawford, il suo impiego si è drasticamente ridotto e la cosa ha chiaramente avuto contraccolpi psicologici anche in campionato, dove Crawford non c’è.
Al loro posto dovranno arrivare un pivot di assoluto valore, un play-guardia che non pretenda troppi minuti ma che possa fare da collante quando serve e un tiratore che non paghi eccessivamente dazio in difesa. E almeno uno dei tre dovrà essere italiano. Tanti auguri.
Sul pivot, si potrebbe sperare che uno come Milutinov non sia più convinto di stare in una squadra inaffidabile come l’Olympiacos, il play-guardia di quel tipo a cercare bene si dovrebbe trovarlo, e sul terzo profilo si deve aprire un capitolo a parte.
L’importanza degli italiani nell’Olimpia Milano.
C’è una cosa, infatti, che manca forse più di tutte le altre, non tanto dal punto di vista tecnico, ma più da quello mentale e motivazionale. Ci vuole almeno un italiano di qualità assoluta, uno che i tifosi possano ergere a idolo incontrastato, e che i compagni possano seguire in virtù della luce che brilla nei suoi occhi e del fuoco che gli brucia dentro. Non si scappa: per avere successo, un italiano così è la chiave di volta.
E allora, chi può essere questo italiano, grande tiratore, affidabile in difesa e capace di metterci una voglia talmente sconfinata da trascinare i compagni solo grazie a essa? Non crediamo nemmeno di dover rispondere a questa domanda retorica, e riteniamo, invece, che Giorgio Armani, o chi per lui, debba andare sul lato giallonero del Bosforo e firmare un assegno in bianco al numero 70. Senza questa operazione, è quasi inutile discutere sul resto, a meno che non ci sia un Marco Belinelli di mezzo.
E gli altri? Possono tutti servire alla costruzione del progetto? Scola probabilmente saluterà per limiti di età, ma i vari Rodriguez, Nedovic, Micov, Brooks, Tarczewski e, perché no, Crawford (anche se su quest’ultimo c’è qualche dubbio in più) possono tutti dare una mano, magari con meno minuti a disposizione. Sugli italiani, il discorso è più complicato, e purtroppo le regole impongono che, almeno in Italia, ce ne siano almeno 4-5 “veri”.
Burns difficilmente rimarrà a scaldare la panchina per il terzo anno di fila, di Della Valle e Brooks abbiamo detto, Cinciarini potrebbe anche rimanere ma solo per dare cambi brevi e mirati agli altri playmaker, l’energia di Biligha può sempre tornare utile, quindi sarebbe il caso di tenerlo, e Moraschini merita di continuare nel proprio tentativo di migliorare in un contesto come questo.
Come potrebbe essere l’Olimpia Milano l’anno prossimo e cosa dovrebbe portarsi dietro da quest’anno
L’ipotetico roster per il 2020-2021 comprenderebbe Rodriguez e Lorenzo Brown come playmaker, Nedovic e Crawford come guardie, la combo guard da trovare che starebbe nel mezzo, Micov e Datome come ali piccole, il Mister X di difficile reperimento e Brooks come ali grandi, Milutinov e Tarczewski come pivot, e Cinciarini, Moraschini e Biligha a dare una discreta profondità alla rosa. Magari non farebbe entrare di diritto Milano tra le big europee, ma sarebbe un modo sensato di proseguire il percorso ideato da Messina.
Perché una cosa va riconosciuta a questo primo anno del coach siciliano a Milano, ovvero la capacità di creare un gruppo, uno spirito di squadra. Tutte le numerose volte in cui Milano è stata in difficoltà, non si è praticamente mai disunita e tutti hanno sempre dato tutto ciò che avevano. Non è un aspetto di poco conto, e bisogna farne tesoro, anche perché, tra i tifosi, sono in molti a dichiarare di essere pronti a rinunciare volentieri a tutti i trofei della stagione per veder costruire una vera società sportiva.
Con i contributi di: Michele De Luca, Filippo Stasi, Fabio Rusconi, Matteo Andreani e Daniele Tagliabue