Eurobasket 2015, Italia agli ottavi – Il basket dell’anima

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“Ma che cazzo c’avete dentro?” (Simone Pianigiani contro Israele, 2011)

Il fato raramente concede l’opportunità di rifare lo stesso esame, come per Eraclito non ci si poteva bagnare due volte nella stessa acqua. Invece l’Italia ha la possibilità di giocarsi il suo ottavo di finale proprio contro la squadra con cui il coach ebbe il suo famoso sfogo, durante un time out di un paio di Europei fa in una gara che valeva solo per l’orgoglio (e poi persa ai supplementari).

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È come un cerchio ideale che si chiude, una prova subdola che ad alcuni potrebbe smuovere qualche emozione, se non altro a noi, che guardiamo da lontano e vediamo in questi crocevia un significato più profondo  di quello semplicemente sportivo. “Tirate fuori l’anima” disse il coach allora, tra le altre cose. E questi anni sono passati a costruire una squadra con un po’ di anima, che le venisse da dentro o le fosse inoculata a forza, come un vaccino contro la futilità. È che la nostra nazionale non ha leader che catalizzino tutte le forze e trainino gli altri. La nostra nazionale si forma dalla coesione interiore dei diversi elementi, con un collante che non è il vocione di Meneghin, Gentile o Fucka, ma l’adesione di caratteri che sono ognuno un progetto a sé stante e non elemento di un gruppo. Il che, a ben vedere, è un processo molto complicato e di tipo cestistico solo fino a un certo punto. Pianigiani, di suo, ha avuto una certa tigna. Come se non gli andasse giù che questi gruppo fallisse. I ragazzi, questi ragazzi, pare l’abbiano capito e sono riusciti persino ad assorbire i concetti che Pianigiani gli ha trasmesso. Ma anche il coach ha dovuto piegare la sua idea cestistica a un materiale talentuoso e incostante, che deve scordare se stesso, annegare nella squadra i propri ego e seguire ciecamente i dettami del coach, anche quando non li condivide, per essere efficace. Per farlo Pianigiani ha dovuto comporre stili di gioco molto diversi, NBA e Europa, e trovare il modo d’incanalare la palla a chi di dovere senza forzature, apparenti almeno, mettendo in chiaro gerarchie e concetti di fondo, ma senza creare gabbie ideali che poco si adattano a questi giocatori.

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È affascinante come l’apparente semplicità di un bel gioco sia il frutto di mille allenamenti. La naturalezza,il giocare senza sentirlo, si ottengono solo dopo che si è sbagliato mille volte, quando il ridicolo e il comico si sono sfiorati, quando quasi non si sperava più. Ma questo abbandonarsi al gioco non serve a nulla senza l’anima , senza il cuore dei nostri giocatori che sotto il canestro, dopo molto tempo, e forse per l’ultima volta, proveranno a diventare padroni del loro destino.