“Non ho mai visto una squadra giocare a basket meglio dei New York Renaissance”
John Wooden
“Il centro più forte che io abbia mai visto in campo è sicuramente Charles Tarzan Cooper”
Joe Lapchick
La mattina del 29 marzo 1939, a Chicago, i neocampioni del mondo dei New York Renaissance si svegliarono dopo una notte di baldorie. L’organizzazione del torneo aveva fatto arrivare delle giacche con sopra scritto: “New York Renaissance – Colored Champions of the World”. Joe Isaacs, la guardia titolare, lesse la scritta con disappunto e chiese a Douglas se aveva un rasoio. Douglas, il proprietario e allenatore della squadra gli prestò il rasoio e Isaacs si mise nella sua camera a togliere la parola “colored” ricamata sulla giacca. Douglas lo vide e gli disse: “non vedi che stai rovinando la giacca fermati!”.Isaacs lo guardò negli occhi e senza fermarsi gli disse: “World Champions ain’t got no color! I’m just making it real!” (i campioni del mondo non hanno colore, la sto soltando rendendo vera).
Poche ore più tardi la scritta colored era stata abrasa da tutte le giacche dei legittimi campioni del mondo di basket professionistico: i New York Renaissance.
Prima di Martin Luther King. Prima di Wilt Chamberlain. Prima di Mohamed Alì. Prima di Diana Ross. Prima di Micheal Jackson. Prima MJ, Kobe e LeBron. Prima di tutti questi, c’erano i New York Renaissance.
In un’epoca in cui il basket professionistico lottava con quello universitario e con le potentissime leghe di baseball e football per un po’ di visibilità, i Renaissance dominavano il gioco con un mix di velocità, tecnica e forza fisica, ma non avevano un campionato per dimostrarlo.

La ABL, la lega principale a est, sotto la guida di George Preston Marshall, non li ammise nel 1926, quando iniziavano a vincere. Invano i Celtics cercarono di perorare la loro causa, nella persona di Joe Lapchick, il loro giocatore più prestigioso (lo stesso che nel 1949, da allenatore dei Knicks, corse a mettere sotto contratto Sweetwater Clifton, la stella dei Globetrotters, non appena la zavorra della segregazione si alleggerì), una squadra di afroamericani, o coloured, non poteva entrare in una lega professionistica a giocare con dei bianchi. La NBL, l’altra lega importante attiva all’epoca, non li accettò fino al loro tramonto dopo la guerra
I Renaissance giocarono come barnstorming team (Ndr: squadre viaggianti: le squadre che affrontavano avversari in partite in ogni villaggio che toccavano) per tutti gli anni ’30. Viaggiavano per gli Stati Uniti, sfidavano squadre locali, dilettanti e professionisti, giocando fino a 200 volte per anno. Le domeniche doppia partita spesso a molte miglia di distanza l’una dall’altra. Si giocava al mattino, poi in macchina, guidata da Robert Douglas, capo, presidente e allenatore, fino a un’altra città. Occasionalmente, una o due volte l’anno, si organizzavano serie con le squadre più forti, che regolarmente i Rens vincevano. Il campo di “casa” si trovava al Casino Renaissance di Harlem, dove tutta la buona società nera si dava appuntamento per vedere le loro partite prima delle serate danzanti. Nel 1932 i Renaissance vinsero 88 partite consecutive, quella squadra venne per intero introdotta nella Hall Of Fame, gli unici del periodo eroico del professionismo con gli Original Celtics e i Buffalo Germans.
Fuori da New York, Chicago e le grandi città del nord, la vita si faceva grama. Nessun hotel gli accoglieva, mangiavano panini negli spogliatoi e più a sud di Atlanta le vittorie erano pericolose, dato che gruppi razzisti, come il Ku Klux Klan, spesso organizzavano raid contro di loro e gli SPHAS, la squadra degli ebrei di Philadelphia, un’altra powerhouse del tempo. Lo sport, come ogni altra attività, era strettamente segregato. Gli afroamericani potevano solo giocare nelle “negro league”, leghe parallele a quelle ufficiali destinati a soli atleti di colore, e questo tenne alcuni talenti straordinari fuori dallo sport professionistico per molti anni.
Nel 1939, però, i Renaissance vennero finalmente invitati a una competizione ufficiale con squadre di bianchi: il Wolrd Professional Basketball Tournament. Il Chicago Telegraph aveva infatti deciso di riempire il vuoto di un campionato professionistico di basket vero e proprio e invitò le migliori squadre del paese per un torneo a eliminazione. Oltre ai Renaissance, il Telegraph chiamò anche gli Harlem Globetrotters, l’altra grande squadra di afro-americani (a discapito del nome, i Globetrotters erano di Chiacago, giocarono per la prima volta a Harlem nel 1968!).
L’invito esteso a squadre composte da atleti di colore non era per nulla scontato, ma nel clima americano del tempo Chicago rappresentava una specie di oasi in cui le strette regole della segregazione si allentavano. Nel 1936, per la prima volta, i sindacati avevano accolto gli iscritti afro-americani e rappresentavano tutti i lavoratori. La scena culturale e musicale era molto forte, come a New York, e ancora oggi dalla constituency di Chicago è arrivato un presidente, per la prima volta, di estrazione afro-americana: Barack Obama. Non è quindi un caso se proprio a Chicago queste due squadre furono invitate a partecipare al torneo, e poterono gareggiare con le altre su un piano di parità.
In campo, i Rens schieravano Charles Cooper, detto Tarzan, un pivot dinamico, alto quasi due metri (notevole per allora), noto per la difesa feroce e la fisicità in campo. Con lui, Pop Gates, un altro lungo poi diventato, nel ’46, il primo afroamericano della ABL, e Wee Willie Smith, poi Puggy Bell, Joe Isaacs, Eyre Saitch e Zach Clayton completavano un roster affiatato da anni di sfide in giro per gli Stati Uniti. Cooper, Gates e Isaacs sono stati indotti nella Hall Of Fame singolarmente oltre che con la squadra del ’32. Il capitano era Clarence “Fats” Jenkins, una leggenda al suo ultimo giro di pista, giocatore dai primi giorni del 1923, che quasi non scese in campo ma fu il leader silenzioso a bordo campo.
Le altre squadre invitate al torneo erano: New York Celtics, New York Yankees, i campioni della NBL Oshkosh All Stars, con Leroy “Cowboy” Edwards in pivot, e gli Sheboygan Redskins vicecampioni NBL, i Benton Harbor (MI) House of David (una strana emanazione di una setta religiosa che annoverava una squadra professionistica di baseball nelle minors), i Chicago Harmons, i Clarksburg (WV) Oil, gli Illinois Grads e i Fort Wayne Harvesters (antenati dei Pistons, cambiarono nome quando vennero acquistati dall’industria di Fred Zoellner, produttore di pistoni per motori).
A parte le squadre che militavano nello stesso campionato, Oshkosh e Shoboygan, le altre si erano scontrate più volte durante i loro tour. I Renaissance erano tra gli avversari più richiesti: riconosciuti come la squadra più forte del tempo, le loro partite garantivano il tutto esaurito per uno strana mistura di ammirazione e repulsione. La gente nei paesini del nord, fuori dalle grandi città, spesso non aveva mai visto gente di colore e si affollava per vedere come fossero fatti. Gli epiteti razzisti, la scomodità della sistemazione, la precarietà del viaggio, non toccavano però i loro record e con questo la possibilità di vendere sempre meglio le loro partite.
I rapporti con i giocatori bianchi non erano così negativi. Robert Douglas, il fondatore dei Rens, fu un amico di Lapchick e Holman, le stelle più importanti degli Original Celtics, per tutta la vita. Gli avversari avevano grande stima dei Renaissance e le partite contro le squadre davvero forti non si portavano dietro epiteti o confronti razzisti tra giocatori. Diverso il discorso con gli spettatori, ma questo richiede più tempo, oggettivamente, per essere discusso.
Il confronto più atteso, più ancora che con i Globetrotters per una specie di finale di campionato Negro League, era con gli Oshkosh All-Stars, i campioni della NBL. Oshkosh schierava Leroy “Cowboy” Edwards, l’ex pivot di Kentucky, che in una partita del 1936 contro NYU al Madison aveva, dice la leggenda, costretto il basket ad allargare l’area dei tre secondi. Dopo l’anno da sophomore Edwards aveva lasciato Kentucky per vivere professionalmente di basket e si era accasato a Oshkosh, dove passò l’intera carriera. Gli scontri con Cooper erano abitualmente molto duri ma leali.


I due rappresentarono il meglio nel loro ruolo fino agli anni ’40, praticamente a ridosso dell’epoca di George Mikan, quando l’intelligenza cestistica di Ron Meyer a De Paul, coniugata con la tecnica e l’agilità di Mikan, cambiarono la storia del basket, indirizzandolo all’epoca dei big man come li conosciamo oggi, intorno ai sette piedi, durata fino all’avvento dello small-ball.
Le regole non erano quelle di oggi: si alzava la palla a due dopo ogni canestro e per ancora 40 anni di tiro da tre non se ne sarebbe parlato. Non si tirava a una mano in sospensione, ma a due mani dal petto e una fastidiosa cucitura sulla palla rendeva difficile palleggiare in modo elegante. In una ragnatela di passaggi veloci, la palla girava da un lato all’altro con lo scopo di nutrire il big man vicino a canestro. Il “big man” stesso raggiungeva a malapena due metri, altezza di una guardia/ala piccola oggi, ma per quei tempi un gigante. Perfino il tempo di gioco non era codificato e cambiava a seconda dei posti e delle competizioni.
Le squadre giunsero a Chicago intorno al 25 marzo. I Rens alloggiarono in un hotel per soli neri nella città. La segregazione poteva allentarsi, ma le logiche fondanti rimanevano.
Le prime partite si giocarono alla Madison Street Armory il 26 marzo. I risultati nel tabellino, con le vittorie di Harlem, New York Yankees, Sheboygan e Oshkosh. Le successive al Chicago Coliseum.
First Round
Madison Street Armory 26Mar39 Harlem 41, Fort Wayne 33
Madison Street Armory 26Mar39 New York Y. 40, Benton Harbor 32
Madison Street Armory 26Mar39 Sheboygan 47, Illinois 29
Madison Street Armory 26Mar39 Oshkosh 40, Clarksburg 33
I Renaissance, i Chicago Harmons e i New York Celtics saltarono il primo turno e giocano direttamente i quarti di finale. I New York Renassaince batterono i New York Yankees, gli Harlem Globetrotters i Chicago Harmons (tra l’altro nella seconda partita della giornata) e, la mattina dopo, al Chicago Coliseum, i Sheboygan All-Stars vinsero contro gli anziani Celtics nella loro ultima incarnazione cestistica che mantenesse qualche riferimento all’epopea degli Original Celtics.
Quarter-final Round
Madison Street Armory 26Mar39 New York R. 30, New York Y. 21
Madison Street Armory 26Mar39 Harlem 31, Chicago 25
Chicago Coliseum 27Mar39 Sheboygan 36, New York 29
Le semifinali videro i Renaissance contro i Globetrotters e l’incontro tra le due squadre della NBL: Sheboygan Red Skins contro OShkosh All-Stars. I Renaissance superarono i Globetrotters in una partita molto dura, mentre Oshkosh ebbe gioco facile contro dei Sheboygan probabilmente stanchi dalla partita giocata all’inizio della giornata contro i Celtics.
Semi-final Round
Chicago Coliseum 27Mar39 New York R. 27, Harlem 23
Chicago Coliseum 27Mar39 Oshkosh 40, Sheboygan 23
Il 28 marzo si giocò la finale per il terzo posto tra Harlem e Sheboygan e, subito dopo, quella per la vittoria tra i Renaissance e Oshkosh All Stars. I Globetrotters vinsero contro Sheboygan una partita tirata fino all’ultimo, poi tutto venne apparecchiato per la finale.
Alla prima palla a due saltarono Edwards e Cooper. “Prima” palla a due perchè a ogni canestro si saltava a metà campo. I Renaissance spinsero subito sull’acceleratore riuscirono a mettere diversi punti tra loro e Sheboygan. Alla fine del primo tempo conducevano 24-11 e per il resto della partita giocarono una difesa asfissiante, segnando in contropiede i punti che li portarono al 34-25 finale
Third Place Game
Chicago Coliseum 3000 28Mar39 Harlem 36, Sheboygan 33
Championship Game
Chicago Coliseum 28Mar39 New York 34, Oshkosh 25
Edwards mise a segno 12 punti e Cooper 5. Pop Gates per i Renissance segnò 14 punti mentre Puggy Bell venne nominato l’MVP del torneo.
Il World Professional Basketball Tournament del 1939 fu il primo campionato in cui una squadra composta da atleti afroamericani riuscì a vincere una competizione giocata anche da dei bianchi. Un evento dimenticato perfino in tempi di lotte civili. Come se la coscienza nazionale non fosse ancora pronta, come se mancasse un ingrediente di autoconsapevolezza della propria condizione. Solo l’entrata di Jakie Robinson nei Dodgers del baseball sancì, quasi dieci anni dopo, la prima integrazione di giocatori neri nello sport professionistico, quello dei soldi veri, fino ad allora solo bianco. Ma non è una storia di integrazione, questa, è ancora la storia di un’America segregata, in cui linee invisibili tengono divise le etnie, quelle che allora si chiamavano sgradevolmente razze. Le squadre non sono integrate, sono ben separate e gli afroamericani affrontano le altre etnie, senza nessuna commistione.
Altre due squadre di colore vinceranno il campionato: gli Harlem Globetrotters nel 1940 e i Washington Bears, ancora con Cooper, nel 1943, quando una parte dei Rens emigreranno a Washington. Il World Professional Basketball Tournament durerà fino al 1948, quando l’avvento della NBA renderà superflua la competizione. Avrà il merito di essere la prima vera competizione in cui squadre di afroamericani affrontano squadre di bianchi, ma in sè non proporrà un modello di integrazione. Come se questo torneo non credesse nelle possibilità del basket professionistico, il Professional Tournament proponeva un patchwork del basket di allora fuori dalle università, senza proporre un campionato che potesse comprendere tutte le diverse possibilità.
Il World Professional Basketball Tournament è infatti il canto del cigno di tutto un basket, quello delle squadre “barnstorming”, viaggianti, che dall’inizio del XX secolo fissò i canoni del precario professionismo del tempo. I campionati erano meno remunerativi dell’attività viaggiante, in cui ogni giorno si cambiava città per affrontare miriadi di squadre improvvisate e alcune squadre vere, con cui si giocavano le partite più dure. La NBA era ancora un miraggio e per molti il basket non portava abbastanza appassionati in un posto per renderlo un gioco realmente profittevole. Ma come disse Gottlieb a Moe Goldman, un suo giocatore, che gli chiedeva perchè andassero in trasferta da Philadelphia a giocare partite di esibizione in Winsconsin a Natale: “We are in a mission for the game of basketball”. E questo facevano queste squadre, portando il gioco nei posti più dimenticati con un ardore a metà tra il missionario e l’economico, riuscendo così a diffondere un gioco che, pur essendosi sparso velocemente all’est, soffriva la concorrenza del football e del baseball nell’anima degli americani.
Per questo oggi vale la pena di ricordare che i primi “campioni del mondo” del basket professionistico erano un gruppo di ragazzi afroamericani, che potevano entrare negli hotel solo dalla porta sul retro, mangiavano negli spogliatoi e potevano sgomitare con un bianco solo in campo, mentre fuori, probabilmente, non potevano nemmeno guardarli. E che prima di Kobe, prima di Steph, prima di Micheal, prima di Wilt, c’era Charles Cooper, c’era Joe Isaacs, c’era Pop Gates, c’era Wee Willie Smith, c’era Puggy Bates, c’era Zach Clayton, c’era Eyre Saitch e molti altri di cui nessuno ricorda nemmeno i nomi.
E soprattutto, tutti insieme, c’erano i New York Renaissance, i campioni del mondo del 1939.
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