abcnews.go.com Quando, nell’estate 2014, Pat Riley firmò Chris Bosh con un contratto da 118 milioni in cinque anni, gli addetti ai lavori, i tifosi di Miami e i semplici appassionati si divisero in due schieramenti; da una parte coloro che ritennero la mossa avventata e indicatrice di una cieca volontà di rimanere in alto a tutti i costi anche dopo l’addio di James, dall’altra quelli che, preso in considerazione anche il prossimo innalzamento del tetto salariale, considerarono la scelta come inevitabile e necessaria. Ad un anno e mezzo di distanza, approcciamo ad un tentativo di “tirata di somme” del tutto parziale e assolutamente non definitivo. Risultati individuali L’ex ala dei Raptors ha fatto registrare 20 punti e 7,5 rimbalzi di media, tirando con il 46,6% dal campo e con un eccellente 37,9% da tre punti (su 343 tentativi), perdendo appena 1,8 palloni a partita. Entrando per un attimo nelle statistiche avanzate, vediamo che il tutto è stato realizzato con uno usg% (la percentuale di possessi che un giocatore “usa” quando è in campo, rispetto al totale dei possessi della sua squadra) del 26,5% (per contestualizzare: in stagione sarebbe solamente il 27° dato della Lega). Tra le cosiddette star, è probabilmente il giocatore meno chiacchierato della NBA, nonostante nessuno sia in grado di mettere su cifre simili alle sue (è l’unico con almeno 18 punti, 7 rimbalzi, il 37% da 3 e meno di due perse a partita). Questo è dovuto in parte al fatto che il suo gioco sia poco appariscente e ancor meno spettacolare, sia in attacco che in difesa. Nella metà campo offensiva Bosh occupa prevalentemente una posizione del tutto marginale rispetto al ferro (tantissime volte è fuori dall’area, spesso fuori dall’arco dei tre punti); questo perché gli Heat hanno bisogno di lui più come tiratore che come giocatore interno. Difensivamente l’apporto di Bosh non è tanto individuale (i suoi avversari tirano con l’1% in meno rispetto alle proprie medie, dato non troppo rilevante), quanto complessivo. Con lui in campo in Defensive Ratio di Miami è di 98,6, quando è in panchina il dato sale a 102,1. L’ala di Spoelstra è il leader vocale della difesa (sullo stile del Garnett biancoverde). DIfesa che deve adesso ritrovare la compattezza di inizio stagione; a Novembre erano appena 94 i punti concessi ogni 100 possessi, a Dicembre addirittura 103,7, mentre sono 100,5 a Gennaio, comunque troppi per una squadra che si basa sul proprio sistema difensivo. Risultati di squadra Andiamo adesso ad analizzare come si sono comportati gli Heat con lui in campo nelle 84 (al momento in cui si scrive) partite giocate da Bosh dalla firma di quel contratto ad oggi. Il record è perfettamente simmetrico: 42 vittorie e 42 sconfitte. Durante la scorsa stagione il lungo di Miami ha giocato poco più di metà stagione a causa dei coaguli di sangue che gli sono stati trovati nei polmoni, non riuscendo a disputare nemmeno una partita con Goran Dragic, il grande acquisto della scorsa deadline. Anche a causa del suo infortunio, la squadra di Spoelstra ha fallito l’obiettivo minimo, ovvero i Playoffs (grazie a questo “fallimento” però, gli Heat hanno conservato la loro scelta, che è poi diventata Justise Winslow). Il ritorno di Bosh ha alzato e non di poco le aspettative per la stagione 20152016, che vedeva Miami tra le favorite per battagliare con Cleveland nelle Conference Finals. In molti, infatti, erano convinti che la coppia formata con Dragic potesse giocare un pick and pop letale (come quello che lo sloveno giocava a Phoenix con Frye) che, unito alle abilità realizzative di Wade, alla solidità difensiva di Deng e all’atletismo di Whiteside, avrebbe permesso alla squadra di veleggiare su un record almeno vicino alle 50 vittorie. Ma, nonostante Bosh non abbia affatto deluso (abbiamo visto i suoi numeri), gli Heat hanno faticato a decollare. Nella moderna NBA sembra infatti impossibile fare risultati importanti senza un solido gioco offensivo con i piedi dietro l’arco, che è proprio quello che manca agli Heat, il cui miglior tiratore è sicuramente lo stesso Bosh, seguito da Gerald Green (non proprio l’emblema della continuità). Il resto del roster è formato dai lunghi (Whiteside, Stoudemire, Haslem e Andersen) e da esterni che preferiscono attaccare il ferro o tirare dal midrange (Wade, Deng, Dragic, Johnson e compagnia). Miami è infatti quintultima per tiri da 3 realizzati a partita e 25a per percentuale. Lo stesso problema s’era verificato durante la scorsa stagione quando, con l’addio di James e la conseguente dipartita degli amici-di-LeBron (Ray Allen per primo), il campo per Miami si è “ristretto” a causa dell’assenza della batteria di tiratori che aveva caratterizzato il roster delle quattro Finals consecutive.