Se state seguendo i Toronto Raptors in questo inizio di stagione, probabilmente è per essere testimoni del periodo di grazia di DeMar Derozan che mette a referto un trentello dietro l’altro, e se siete spettatori attenti non vi sarà sfuggito un buco nello starting five. Nello spot di 4 è Patrick Patterson a chiudere le partite ma coach Dwane Casey lo vede come un sesto uomo, preferisce partire con un difensore agguerrito per dare man forte a Valanciunas ora che Bismack Biyombo ha cambiato casacca. Jared Sullinger è fermo per infortunio ma nemmeno lui risponde all’identikit, di schierare la small ball alla palla a due non se ne parla. Niente paura, c’è l’uomo giusto al posto giusto: Pascal Siakam, o “il miglior giocatore di cui non avete mai sentito parlare” per dirla con le parole dell’esperto di college basketball C. J. Moore. Il suo gioco è tutta sostanza e pochi fronzoli, esattamente quello che ti aspetteresti da uno spilungone camerunense che lotta a rimbalzo come un leone. “Ha un motore in costante movimento e un senso della posizione che non si può insegnare”, lo loda il coach di New Mexico State Marvin Menzies. Gli ci volle però un intero anno da redshirt per farsi le ossa in palestra e imparare a trattare quel pallone arancione con le mani. Lui era abituato a farlo coi piedi, come quasi tutti i ragazzi africani era nato con la passione del calcio. Gliel’aveva trasmessa il padre, Tchamo, uno che nella vita aveva trovato il tempo di allevare sette figli, affidarli tutti a una buona scuola coi guadagni di un lavoro da operaio, educarli alla religione. Quando aveva mezza giornata libera faceva pure il sindaco del suo villaggio, Makénéné.
A sedici anni Pascal era in una scuola cattolica, avviato a una carriera da prete, quella che il padre desiderava. Ma a lui piaceva lo sport. Nelle ore libere giocava a calcio, poi i tre fratelli maggiori lo convincono a provare il basket. Loro si erano già convertiti. Alti, magri, troppo dinoccolati per destreggiarsi con la palla fra i piedi ma abbastanza agili da saltare più degli altri. Non è amore a prima vista. “I miei fratelli mi ripetevano che avrei finito per diventare un cestista, ma io non volevo saperne. Avrei preferito letteralmente qualsiasi altro lavoro” racconta. Poi un giorno partecipa, quasi per gioco, a un camp di Basketball without Borders organizzato dalla NBA. Conosce Serge Ibaka e Luc Mbah A Moute. Non sa chi sono, ma parlano in francese e gli ispirano fiducia. In men che non si dica papà Tchamo rompe il salvadanaio e i fratelli Siakam attraversano l’oceano, finiscono sparpagliati per gli Stati Uniti. Pascal è in Texas, in una scuola superiore che si chiama God’s Academy: mai dimenticarsi da dove vieni. Fino alla chiamata in NBA non vedrà più sua madre. Impara le regole del giochino e come si vive dall’altra parte del mondo, impressiona gli scout al punto che Marvin Menzies lo vuole tra gli Aggies di New Mexico State. L’attuale coach di Las Vegas ha una passione per i giocatori africani, aveva già sentito parlare di lui dai suoi contatti in Camerun, lo prende sotto la sua ala e da prospetto grezzo lo trasforma in un atleta di primo livello, capace di contribuire da subito con 12 punti e 7 rimbalzi di media. Nelle estati successive aggiunge al repertorio un solido tiro dalla media distanza, la partenza in palleggio e un paio di movimenti in post. A Toronto Dwane Casey si accontenta del lavoro sporco, ma un giorno le sue abilità torneranno utili. I fratelli, intanto, vivacchiano tra il college e le prime esperienze professionistiche. Western Kentucky, IUPUI, Vanderbilt, campionato canadese, persino il Bahrein. Sono sempre in contatto ma le loro strade si incrociano di rado. Ci vuole una telefonata dal Camerun per riunirli. Ottobre 2014, papà Tchamo ha avuto in incidente in auto, non ce l’ha fatta. I fratelli si stringono nel lutto, parlano coi familiari a casa, tre di loro decidono di tornare in Africa per il funerale ma Pascal no. La madre lo convince a restare in America, la stagione del basket è alle porte e tutti si attendono grandi cose da lui, non può rischiare di perdere tempo con le pratiche per il visto. È quello che il padre avrebbe desiderato, gli dice infine per convincerlo, deve inseguire quel sogno anche nel suo nome.
Il 23 giugno di due anni dopo i Toronto Raptors chiamano Pascal Siakam con la scelta 27 del primo giro, in anticipo rispetto alle previsioni degli esperti. L’ultima stagione con gli Aggies era stata roboante, una sontuosa doppia doppia di media, ma New Mexico State gioca nella settima peggiore conference del paese e da 46 anni un suo prodotto non approda tra i professionisti al draft. Gli scout però non si fanno scrupoli, sono rimasti affascinati dalla disciplina di Pascal e dall’impegno che riversa in campo, dal fisico pronto per competere coi migliori e dal potenziale difensivo. “Abbiamo messo alla prova i nostri esperti di analytics per indagare su di lui”, ha detto il GM dei Raptors Jeff Weltman. “e abbiamo scoperto che sotto all’energia con cui gioca nasconde molte abilità. Siamo sicuri che le cose che ci piacciono di lui lo accompagneranno in NBA”. Pascal Siakam doveva diventare un calciatore, poi un prete, poi è finito tra i titolari della seconda squadra più forte della Eastern Conference. Se combatte per ogni rimbalzo come un leone, il simbolo del suo Camerun, forse è perché sta vivendo il sogno insieme ai fratelli che hanno ricevuto in dono meno fortuna e meno talento di lui. E su quella palla, per aiutarlo a strapparla, ci sono anche le mani di papà Tchamo.