Paul George e la forza di rialzarsi

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USAtoday.com A un anno e mezzo dal terribile infortunio che lo ha visto protagonista il 1° agosto 2015 a Las Vegas durante uno scrimmage di Team USA, gran parte del pubblico NBA aveva inconsciamente spogliato PG13 dello status di star che si era conquistato nella postseason 2013 e nella stagione 2013-14 (sua vera e propria breakout season). L’idea è che prima di riapprezzare il vero Paul George- uno dei (se non IL) migliori esterni two-way della Lega-ci sarebbe voluto del tempo; il naturale processo di tornare a fidarsi di un corpo mai risparmiato dal prodotto di Fresno State. Le impressioni furono confermate dal rientro abbastanza convincente, ma non troppo, di fine stagione ’14-15. Nel frattempo ad Indianapolis è il momento di importanti cambiamenti; “Ritorno con voi come stretch-four” aveva scherzato PG con i compagni di nazionale che erano andato a trovarlo in ospedale a pochi giorni dall’infortunio. Tutto avrebbe immaginato, tranne che la propria franchigia, parte delle poche squadre ancorate ad uno “smashmouth basketball” basato sull’uso di due lunghi tradizionali, gli avrebbe veramente chiesto di giocare da 4 nella stagione ’15-’16.

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Persi David West (Spurs)e Roy Hibbert (Lakers) gli Indiana Pacers hanno deciso di cambiare filosofia, scegliendo di prendere la direzione verso cui il movimento NBA si sta indirizzando; il pace and space, usando un 4 più piccolo per aprire il campo ed avere un’area più libera. George, per usare un eufemismo, non era convintissimo: “Non so se sono tagliato per fare il 4” aveva dichiarato dopo una partita di Preseason contro New Orleans. In altri commenti è stato ancora più vocale, preoccupato per gli aggiustamenti difensivi necessari a lui ed ai suoi compagni. In fondo, però, PG ha fatto quello che da sempre lo contraddistingue; lavorare per vincere. Dopo circa un mese di lavoro, però, come previsto da Larry Bird, il californiano ha dichiarato di “sentirsi più a suo agio” nel giocare da 4. E lo si è potuto vedere da questo primo mese e mezzo di regular season; Vogel ha costruito per Paul George quello che Spoelstra aveva fatto per LeBron James con Battier, ovvero uno schema di 3 in difesa-4 in attacco per la sua Star. In altre parole, Paul George non viene snaturato in difesa dove ha il compito di marcare il miglior esterno avversario, mentre in attacco con 4 giocatori perimetrali trova più linee di penetrazione e spazio per cercare un tiro dall’arco, dove George sta tirando bene come mai in carriera (41.6% con 7 tentativi). L’NBA ha incoronato George- che ha portato i Pacers ad un record di 11-2 nel mese in questione-come giocatore del mese di novembre, e con buone motivazioni; 29.5 punti, 8 rimbalzi, poco meno di 5 assist e 1.5 palle rubate a partita con un allucinante 49.5% dalla grande distanza. Il miglior giocatore NBA non chiamato Steph Curry (provocazione ESPN) ha sfruttato il primo mese di regular season per riacclimatarsi con il suo corpo ed ha fornito prestazioni che facilmente lo porteranno a career-best in tutte o quasi le statistiche, nonostante il recente e comprensibile slump.
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Ma quindi Paul George è un prodotto finito? Assolutamente no; ci sono ancora difficoltà nel ball-handling nel traffico e qualche problema in termini di letture offensive. In altre parole Paul George è talmente abile ed efficace che tende ad accontentarsi di alcuni tiri tendenzialmente inefficienti (il 18% dei suoi punti viene da tiri dalla media distanza) come i mid-range, invece di lavorare per costruire un tiro migliore, al ferro o dall’arco. La sua giustificazione è il relativo scetticismo sull’utilità delle statistiche NBA: “Non sono un grande fan delle analytics”, chiamando in causa il fatto che “quando lo faceva Jordan nessuno aveva nulla da dire”. Se nel migliorare la shot selection e il decision making ci sono ancora molti margini, per non esporre troppo il ball handling di PG13 Vogel ha scelto di usare sempre più schemi off the ball o ricezioni dinamiche per la propria Star, così da permettergli di partire già in movimento, risultando grazie alla sua esplosività difficilmente contenibile per le difese avversarie. Nonostante il sample sia relativamente ancora piccolo, dal video si possono vedere alcuni dei suoi limiti e dei suoi rinnovati punti di forza (tra cui una capacità di passare sottovalutata) rispetto al George pre-infortunio. George spiega che “Non sai mai quanto ti mancherà una cosa finché non la perdi” e quindi lui, non sentendosi abituato a stare senza il gioco del basket, ne è diventato ancora più dipendente, lavorando duramente nel recupero per diventare ancora più decisivo del pre-infortunio. Le prestazioni gli stanno dando ragione, sta frantumando career high su career high (48 punti contro Utah) e conducendo una squadra totalmente nuova al 60% di vittorie, con la 4° piazza nella Eastern Conference. Contro gli infortuni, contro l’opinione di tutti, Paul George non ci stava proprio a finire nel dimenticatoio. Lo ha dimostrato e cercherà di dimostrarlo a tutti, del resto con il suo talento e la sua etica lavorativo, il limite è il cielo.