Quando leggiamo ‘New Orleans’ ci immaginiamo un solitario afroamericano appoggiato alla parete esterna di un vecchio locale, con le insegne ancora accese in una silenziosa sera autunnale, perso nei suoi pensieri mentre soffia dentro uno strumento, immortalando indelebili e malinconiche note che raccontano difficili esistenze e spassose nottate sotto i cieli della Louisiana. Quando leggiamo ‘New Orleans’ pensiamo alla tromba di Louis Armstrong, al Mardi Gras, al jazz, al porto, allo schiavismo, al Quartiere Francese, ai canti nei campi di cotone. In questa città, in cui storia, cultura, sentimenti e musica si intersecano alla perfezione, nel 1974 un gruppo di soci guidato da Fred Rosenfeld e Sam Battistone decise che la città sarebbe stata la sede della 18esima franchigia NBA.
‘Pallacanestro a New Orleans? Beh, vediamo se questo ‘nuovo pezzo’ sarà orecchiabile’ avranno pensato gli spassosi abitanti della città della Louisiana, mostrando un loro classico sorriso sornione a 32 denti.

D’altronde lo storico motto non scritto della città è “Laissez les bons temps rouler” (fate largo al divertimento). E quale modo migliore di far divertire la città e l’intero Stato? Detto fatto. Il gruppo di soci versò la somma di 6.15 milioni di dollari per permettere alla colorita, festosa e malinconica città di ospitare la diciottesima franchigia NBA. La denominazione scelta fu un naturale tributo al genere musicale nato tra le strade della città: New Orleans Jazz.
Il primo colpo messo a segno dalla neonata società fu l’approdo del più talentuoso playmaker dell’epoca, Pete ‘Pistol’ Maravich dagli Atlanta Hawks. Il periodo in Louisiana (1974 -1979) fu altalenante sia dal punto di vista tecnico che societario. I risultati non arrivarono, nonostante un Maravich autore di prestazioni importanti e con medie alte ma martoriato da perenni problemi alle ginocchia. A questo scenario sconfortante va aggiunto che la città non si spellò mai le mani per la squadra e che alcune scelte di mercato scellerate della società non fecero che male all’appeal della franchigia. Ve ne cito qualcuna? Sì, è il caso. I Jazz nella stagione 1976/77 avevano ceduto la prima scelta assoluta del Draft 1979 ai Lakers, in cambio di Gail Goodrich. I Lakers scelsero un quasi ventenne Earvin “Magic” Johnson. Sempre i Jazz né combinarono un’altra: avevano rinunciato ai diritti su Moses Malone, al fine di recuperare una delle tre scelte al primo turno utilizzati per lo scambio per Goodrich. Cercarono di tamponare con l’acquisto di Spencer Haywood ma si rivelò una mossa anche questa al di sotto delle aspettative.
La città non rispondeva del tutto, le imprese locali non contribuivano, i risultati latitavano e cominciavano ad esserci seri problemi economici. La situazione si era fatta pesante, che fare? Basta, bisognava delocalizzare. Nell’Estate del 1979, gli occhi della società si posarono un po’ più su, ‘State Of Utah’. La franchigia si spostò a Salt Lake City, una realtà totalmente diversa rispetto a New Orleans. Nella Capitale dello Utah la passione per la palla a spicchi era molto più forte rispetto alla città del jazz, anche perché avevano già ospitato una franchigia della ABA, gli Utah Stars.
La società decise di cambiare il nome in ‘Utah Jazz’ e di tenere gli stessi colori utilizzati in Louisiana, come tributo alla città di New Orleans.
L’ormai franchigia mormone operò subito sul mercato. Nella sessione di mercato estiva del 1979 la società, non soddisfatta dalle prestazioni di Spencer Haywood, riuscì a portare a Salt Lake City Adrian Dantley, 23enne ala piccola proveniente dai Los Angeles Lakers, che a loro volta ottennero in cambio proprio Haywood. La stagione 1979-80 fu chiusa con un poco soddisfacente 24-58. Questo risultato fece guadagnare la seconda chiamata assoluta del Draft 1980. Gli Utah Jazz scelsero Darrell Griffith, dall’Università di Louisville, che giocherà tutta la carriera con i Jazz e che chiuderà con circa 12.400 punti dal 1980 al 1991.
Le stagioni successive furono davvero difficili e gli annosi problemi economici fecero rivivere lo spauracchio ‘New Orleans’. Intanto in panchina arrivò il GM Frank Layden, che era stato il fautore dello scambio Dantley-Haywood con i Lakers e che rimarrà in panchina fino al 1988 quando al suo posto arriverà Jerry Sloan.
C’è da dire che negli anni che vanno dal 1980 al 1985 gli Utah Jazz piazzarono qua e là qualche seme importante. Adrian Dantley aveva chiuso la prima stagione in Utah con 28 di media, nel 1982 avevano scelto Mark Eaton, centro proveniente da UCLA e anch’egli giocherà la sua carriera interamente nei Jazz, Rickey Green, buonissimo playmaker preso nel 1980 da una franchigia della CBA, Darrell Griffith e John Drew.
La prima svolta della storia dei Jazz fu la stagione 1983/84. La stagione regolare fu chiusa con un buonissimo 45-37 (con un Dantley da 30.6 di media, Rickey Green da 2.7 palle rubate, Mark Eaton 4.3 stoppate di media) che valsero i ‘PlayOffs’ e due riconoscimenti per Frank Layden (NBA Coach of the Year Award e NBA Executive of the Year Award). I Jazz uscirono al secondo turno contro i Phoenix Suns (4-2).

L’anno 1984 sarà quello della svolta per il basket NBA e anche per gli Utah Jazz. Nel Draft, celebratosi il 19 giugno al Madison Square Garden di New York, vennero selezionati alcune ‘giovani promesse’ (Hakeem Olajuwon, Michael Jordan, Charles Barkley) e alla 16esima chiamata venne scelto un 22enne proveniente da Gonzaga University e nativo di Spokane, città ad Est di Seattle. Il ragazzo si chiamava John Houston Stockton, giocava da playmaker ed era sconosciuto ai più. La sua scelta non fu salutata con spettacolo pirotecnico dai tifosi dei Jazz (fidatevi, se ne pentiranno presto) che speravano in ‘altro’. La stagione 84/85 si chiuse con un 41-41 che significò nuovamente ‘Playoffs’ e Mark Eaton premiato come Defensive Player Of The Year grazie ad una stagione da 9.7 punti, 11.3 rimbalzi e 5.56 stoppate. Il cammino venne interrotto in semifinale di conference con i Denver Nuggets (4-1). L’Aprile 1985 registrò una ulteriore svolta nella storia dei Jazz, Larry H. Miller rilevò il 50% della franchigia e ciò portò liquidità fresca nelle case degli Utah Jazz. Nel Draft di pochi mesi dopo si compì un altro ‘miracolo sportivo, venne scelto un ragazzone proveniente dalla Louisiana Tech e che tanto bene aveva fatto in NCAA, tale Karl Anthony Malone, 21 anni che ricopriva il ruolo di ala grande e che verrà soprannominato ‘The Mailman’ per l’efficacia delle sue consegne, partite in perfetto orario dalle sontuose mani di John Stockton. Nessuno ancora lo sa, ma in quell’istante preciso s’era formato il duo meglio assortito di sempre e che segnerà per sempre la storia del basket americano e non solo. Era nata la premiata ditta ‘Stockton To Malone’ che girerà a dovere con l’arrivo di Coach Jerry Sloan, che riuscirà a dare una quadrata a quel progetto. Gli Utah Jazz del trio Malone-Stockton-Sloan farà bene dal 1988 fino alla fine degli anni ’90. Il resto non ve lo racconto, è storia.
Se gli Utah Jazz sono tra le migliori organizzazioni del basket americano, tra le più rispettate e sono arrivati fin quasi alla vetta, lo si deve proprio a loro e alla dedizione dei Miller per questa franchigia.