Cleveland Cavaliers @ Boston Celtics 83-108 (18-36; 35-61; 64-78)
‘’You cannot scout energy’’. Questo il mantra ripetuto fino all’ultima sirena di una serie finale poi persa dai Boston Celtics contro i Los Angeles Lakers, da sfavoriti. Gli aforisti erano Glen Davis e Nate Robinson, coppia di gregari in un gruppo inferiore a quello degli avversari in quella serie, ma comunque costituito da giocatori di alta caratura quali Pierce e Garnett. Il fil rouge che ha unito tutte le versioni dei Celtics è sempre stato l’esaltazione dello spirito operaio, quello che a volte li portava anche ad uscire dal seminato regolamentare del gioco, alimentato dall’energia trasmessa dal popolo del Garden. Questa versione dei Celtics è l’estremizzazione di questo concetto, sviscerato della presenza di un centro di gravità permanente, che affronta il centro di gravità permanente per definizione di questa lega: LeBron James, colui che è stato scelto contro coloro che devono fare la scelta giusta, ogni dannata volta.
La prima novità sponda Celtics è la presenza di Marcus Morris in quintetto in luogo di Baynes, al fine di adeguarsi ad un quintetto avversario morfologicamente molto diverso da quello affrontato nella serie precedente. Per Morris tutt’altra prospettiva rispetto al solito ruolo di specialista offensivo uscente dalla panchina, ora Stevens vede in lui il tassello per mettersi speculare alle scelte dei Cavaliers. LeBron legge subito l’evolversi della vicenda, sa che questa è una scelta forzata dalla presenza di Love e con deliziosa sensibilità ritiene di responsabilizzare il Beach Boy che vince i primi duelli con il gemello di Markieff. Cleveland però ha troppi dazi da pagare difensivamente, rispondenti al nome di Korver, Love e Smith: imposte difficili da esorcizzare se poi i tre sopracitati falliscono in ciò per cui sono chiamati in causa nella metà campo offensiva. Un clinic offensivo di Horford e l’energia di Rozier più Brown consegna a Boston la doppia cifra di vantaggio. Non si può nascondere la polvere sotto al tappeto, la regular season dice poco ma qualcosa dice, e i Cavaliers vanno sotto paurosamente in difesa, e quelle stesse polveri sono bagnatissime al tiro, con LeBron che si prende i primi sei minuti sabbatici. Quando si mette in azione la difesa di casa, sospinta dal trascinante pubblico amico, è già entrata nei vasi sanguigni dell’attacco ospite, dimostrando una versatilità sconosciuta che riscrive le regole dell’adeguamento difensivo. Dall’altra parte, selvaggi in ogni singolo spasmo muscolare volto ad attaccare il ferro i padroni di casa, che sfrontatamente doppiano nel risultato il Re e i suoi uomini a fine primo periodo, chiuso sul +18. Cleveland cerca linfa vitale dalle seconde linee come Clarkson, che però per caratteristiche tende ad incaponirsi e, pur trovando qualche successo, non mette in ritmo l’attacco, mentre si fa fatica a trovare un tiro mal costruito nei biancoverdi, che non allungano ulteriormente solo perché qualche mano imprecisa scalpella i ferri dalla lunga. Brani di pallacanestro non celestiali a metà secondo quarto, quando latita l’attacco a difesa schierata di entrambe le squadre, che però nei padroni di casa viene compensato da una fisicità mostruosa alternata a un paio di giocate da professori di Horford e Tatum, per nulla spaventati dai primi ruggiti del padrone della lega. L’emblema di questo frangente è Marcus Smart, se vogliamo il più limitato di tutti in fase di attacco, che ad ogni errore offensivo raddoppia l’intensità difensiva, che sia in marcatura sul portatore di palla o in post basso sul lungo avversario. Il basket diventa letteratura quando Brown prima taglia il blocco per impedire la ricezione a Korver, poi finisce a difendere su Love in post basso e lo stoppa nei pressi del ferro, Morris si tuffa per salvare il possesso e lo stesso Brown conclude l’opera col jumper del +22. La selvaggia prosaicità si integra alla poetica esecuzione che libera Horford per la tripla del +25, Stevens è lo sceneggiatore di questa sublime opera, che obiettivamente manca di un feroce antagonista, vista la scarsa applicazione dimostrata dai Cavaliers nel primo tempo, attesi negli spogliatoi dalla strigliata di coach Lue(Bron).
Una volta tanto, un difetto di comunicazione tra due difensori biancoverdi porta ad una schiacciata di sfogo di James, ma è forse il terzo canestro non contestato dell’intera partita per i Cavaliers, e in virtù di questo sorprende ma non troppo lo 0 su 15 dalla lunga distanza. La ‘X’ sulla casella tiri da 3 si trasforma presto in un 2 dopo le triple di Korver e Hill, evento che sembra scuotere gli ospiti nel momento in cui i Celtics si intorpidiscono. Come era successo a Redick e Belinelli nella serie contro i Sixers, Korver viene funestato dalla mobilità degli esterni dei Celtics, in particolar modo Brown che lo batte in palleggio quando è troppo vicino e lo brucia col tiro quando è troppo lontano: la costante è che KK raramente si trova alla distanza giusta. Prova a distendersi l’ombra minacciosa della legge naturale impersonata da LBJ, che con un gioco da 3 punti riporta i suoi sotto ai 20 punti di svantaggio dopo parecchi minuti, ma di talento spontaneo ne troviamo anche nelle mani e nella testa del veterano al primo anno dei Celtics, che si mette a sfornare assist di rara bellezza, a volte premiati altre no, ma la risposta è da grande campione. LeBron si prende un piccolo riposo ma anche dalla panchina ci si accorge che è definitivamente entrato nella serie e nel sistema nervoso nei compagni, dalla porta giusta, e questa scarica di energia porta i Cavaliers a soli 14 punti di gap a fine terzo periodo, complice un buzzer beater di Jeff Green. Quando scorre più intensità in una squadra anziché in un’altra, non c’è bisogno di alcuno schiaffo per dispiegarla e solitamente quella squadra sarà più pronta alla ripresa delle operazioni. Così accade in apertura di quarto periodo, quando i Boston Celtics piazzano un parziale di 7-0 che ricaccia i Cavaliers a -21. Laddove i Cavaliers si rialzano, il tourbillon di maglie che vorticosamente si muovono come telecomandate su entrambi i lati del campo, pone fine alla parte agonistica della contesa, lasciando spazio al garbage time e dando appuntamento a gara 2. L’impressione è che questi Celtics siano troppo scivolosi per tenerli fermi con la mano per poi infligger loro qualche colpo esiziale, e LeBron sembra aver atteso troppo di affacciarsi alla partita, perdendo il momento propizio. Siamo sicuri che nel secondo episodio della serie il Re non si farà attendere all’apertura delle danze.
Cavaliers (0-1): James 15, Love 17, Hill 5, Korver 5, Smith 4, Nance Jr., Green 6, Osman, Thompson 8, Calderon 2, Clarkson 10, Zizic, Hood 11.
Celtics (1-0): Morris 21 (10 rimbalzi), Horford 20, Tatum 16, Rozier 8, Brown 23, Yabusele, Ojeleye 3, Nader 2, Monroe 2, Baynes 4, Smart 9.