Piccolo appunto per chi la NBA la segue da (davvero) poco: no, la storia dei Nets non è radicata solo nella Big Apple. O meglio, lo sarebbe stata, se nel lontano 1967 i New York Americans, neo-iscritti alla ABA (American Basketball Association, all’epoca rivale della ben più nota ai nostri occhi National Basketball Association) avessero trovato un palazzetto disponibile ad accoglierli nella Grande Mela. Già, perché il vecchio 69th Regiment Armory, già in precedenza casa dei Knicks, non fu concesso agli Americans sotto pressione della NBA e degli stessi Knicks. Così il magnate Arthur J. Brown, allora proprietario della franchigia, dopo alcuni mesi di tira e molla optò per il trasferimento a Teaneck, nel New Jersey, con il conseguente cambio di denominazione in New Jersey Americans.
La prima stagione della società, per la verità, fu degna di nota. Gli Americans lottarono infatti fino alla fine per il quarto posto, ultimo valido per accedere ai playoffs, nella Eastern Division, conteso dai Kentucky Colonels. Le due formazioni si sarebbero dovuto scontrare alla Teaneck Armory per stabilire il verdetto, ma il palazzetto non era disponibile nel giorno della gara. Fu necessario così un trasferimento last minute alla Long Island Arena di New York, dove però la gara non venne mai disputata. Infatti le condizioni del campo di gioco, tra condensa accumulata da un match di hockey della sera precedente e parquet traballante, non consentirono neppure lo svolgimento della sfida, vinta poi a tavolino dai Colonels.
Dopo una brevissima parentesi a Newark, gli Americans si trasferirono per la loro seconda stagione a Long Island, cambiando così il nome in New York Nets. Con il nome Nets che, per assurdo, non venne scelto tanto per l’essere la “net” (retina) parte integrante del gioco, quanto per l’assonanza con le altre principali squadre sportive newyorkesi, i Mets (MLB) e i Jets (NFL). La stagione fu però da dimenticare (record 17-61), seppur i Nets, che nel frattempo si erano spostati nel quartiere di West Hempstead sotto un nuovo proprietario, ebbero modo di rifarsi nei due anni seguenti, con i primi approdi ai playoffs.
In seguito all’ennesimo trasferimento, che portò i Nets a Uniondale, la franchigia centrò nel 1972 addirittura le Finals, trascinata da Rick Barry. Sconfitti 4-2 dai Pacers ed alle prese con l’addio delle proprie stelle in estate, la compagine entrò in una rebuilding mode, che durò giusto un anno. Difatti i Nets acquisirono nell’estate del 1973 Julius Erving, e con Doctor J, le cose cambiarono: nel 1974 arrivò il primo titolo della storia della franchigia e, dopo una cocente eliminazione ai playoffs l’anno successivo, nel 1976 Erving e compagni firmarono il bis, nell’ultimo anno di esistenza della ABA.
ABA e NBA infatti giunsero alla fusione, e i Nets, alle prese con problemi finanziari, furono costretti a cedere Erving per permettersi l’iscrizione. E i primi anni furono assai avari di soddisfazioni, contornati anche dal ritorno nel New Jersey nel 1978. Fu nei primi anni ’80 che la formazione, sotto la guida di Larry Brown, alzò la testa, migliorando di anno in anno e centrando così i playoffs nel 1984. Non seguì però una ripresa, ma un progressivo declino: i problemi di droga di Micheal Ray Richardson e i ripetuti infortuni di Darryl Dawkins e Otis Birdsong, uniti al pessimo draft del 1987 (in cui venne scelto Dennis Hopson come terza scelta assoluta davanti a giocatori come Pippen, Miller e Johnson), condussero la franchigia a un periodo assai negativo, che si chiuse solo negli anni ’90.
Gli arrivi di Derrick Coleman e Kenny Anderson, oltre allo scambio che segnò l’arrivo di Dražen Petrovi?, e la guida in panchina di Chuck Daly non bastarono per condurre i Nets al successo. I continui infortuni di Anderson e la sfortunata morte di Drazen portarono infatti ad un susseguirsi di eliminazioni al primo turno dei playoffs. Nel 1995 venne chiamato alla guida della squadra coach Calipari, che ottenne anche un paio di stagioni di discreto livello, seppur senza mai riuscire a sfondare. Seguì il vuoto, che si protrasse sino al nuovo millennio. A quel punto, qualcosa si mosse.
Ingaggiato Byron Scott come head coach, si accasarono nel New Jersey Kenyon Martin, prima scelta assoluta al draft 2000, che andò ad affiancare Stephon Marbury e Keith Van Horn, e Jason Kidd, che giunse l’anno seguente in cambio dello stesso Marbury. E la stagione 2001-2002 fu leggendaria: i Nets timbrarono un record di 52-30 (migliore della loro storia), sbarcando ai playoffs con la vittoria della Atlantic Division: superati Pacers, Hornets e Celtics, Kidd e compagni arresero solo in finale con i Lakers di Shaq e Kobe, che li asfaltarono con un secco 4-0.
Nel 2003 i Nets si ripeterono: malgrado i guai fisici di Mutombo, che avrebbe dovuto rafforzare il reparto lunghi, i rossoblu centrarono le seconde Finals consecutive. Il destino fu beffardo però, portando la franchigia a cedere 4-2 dinanzi ai San Antonio Spurs. In estate Kidd divenne free agent, ma fu “bloccato” dall’arrivo di Mourning, che segnò l’inizio di un periodo di ricostruzione. Malgrado gli addii di Kerry Kitties e Kenyon Martin, i Nets continuarono ad approdare in postseason, con una serie di eliminazioni al primo-secondo turno che proseguirono sino al 2007.
Nel 2008 Jason Kidd, Malik Allen, e Antoine Wright furono ceduti ai Dallas Mavericks in cambio di Devin Harris, Keith Van Horn, Maurice Ager, DeSagana Diop, Trenton Hassell e di due prime scelte. Le nuove aggiunte non colmarono mai il vuoto lasciato dalla cessione di Kidd, tanto che in estate Rod Thorn decise di cedere Richard Jefferson ai Milwaukee Bucks. Seguì la cessione di Vince Carter e, soprattutto, l’acquisizione della franchigia da parte di Mikhail Prokhorov. Il magnate, secondo uomo più ricco di Russia, diventò così il primo proprietario straniero di una franchigia NBA, a fianco del rapper Jay-Z.
E il resto, lo sappiamo quasi tutti. Sbarca nel New Jersey Deron Williams, assieme alle milionarie ambizioni di Prokhorov che, unite alla volontà di Jay-Z, spingono i Nets a Brooklyn, dove giocano da due stagioni a questa parte. Il roster, attualmente, conta un monte stipendi di 102 milioni di dollari, per una luxury tax da record di 86 milioni. Ma neanche questo e l’eliminazioni delle ultime due stagioni sembrano demolire l’entusiasmo del magnate, intenzionato a portare in alto la franchigia newyorkese. Riuscirà a condurla al primo titolo NBA della sua storia?