Cento di queste stagioni – Mario Elie

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NEW YORK - JUNE 15: Mario Elie #17 of the Houston Rockets dribbles against Charles Oakley #34 of the New York Knicks during Game Four of the NBA Finals played on June 15, 1994 at Madison Square Garden in New York, New York. NOTE TO USER: User expressly acknowledges that, by downloading and or using this photograph, User is consenting to the terms and conditions of the Getty Images License agreement. Mandatory Copyright Notice: Copyright 1994 NBAE (Photo by Nathaniel S. Butler/NBAE via Getty Images)

Non è mai stato un fuoriclasse, non ha mai vinto premi individuali e non si è mai guadagnato le copertine di riviste glam. Mario Elie non è mai stato questo tipo di giocatore, però è stato un grande comprimario, un role player come se ne sono visti pochi, abile a fornire il proprio contributo sempre. E’ stato un vincente, ha portato a casa tre titoli, due con Houston e uno con San Antonio, e quindi noi vogliamo omaggiarlo ripercorrendo la sua miglior stagione in carriera. Sebbene la sua miglior annata dal punto di vista statistico è stata il 1996-97, è tra il 1994 e il 1995 che Mario Elie incide il suo nome sulla stele della storia NBA.

Reduci dal primo anello della loro storia, conquistato a spese dei Knicks, gli Houston Rockets si presentarono ai nastri di partenza della stagione 1994-95 da campioni in carica e, senza lo spettro di Michael Jordan, erano considerati favoriti nella caccia all’anello.
La squadra allenata da Rudy Tomjanovich riportò 9 vittorie nelle prime 9 partite. Tuttavia, era sotto gli occhi di tutti il fatto che la Western Conference fosse diventata una gabbia di leoni, con squadre paurosamente forti che avevano contribuito ad innalzare ancor di più l’asticella della competizione. C’erano i San Antonio Spurs di David Robinson, Avery Johnson che sarebbero arrivati primi ad Ovest quell’anno con l’Ammiraglio MVP, i Phoenix Suns di Charles Barkley, A.C. Green, Dan Majerle e Kevn Johnson, gli Utah Jazz di Stockton&Malone e i Seattle Supersonics di Payton&Kemp. Sia chiaro, non che ad Est fossero scarsi, basti pensare agli Orlando Magic di Shaquille O’Neal e Penny Hardaway, ai New York Knicks di Pat Ewing, ai collettivi dei Charlotte Hornets e degli Indiana Pacers, infine c’erano anche i Chicago Bulls che nel corso della stagione ritrovarono il loro condottiero MJ.
La stagione procedeva nel migliore dei modi per i Rockets, fino a che la dirigenza texana non decise di prendere seri provvedimenti per avere la meglio sull’agguerrita concorrenza nella Western Conference. Così si decise per una trade che portò a Houston Clyde Drexler, mentre a Portland fu spedito Otis Thorpe. Tuttavia, a causa del periodo di ambientamento che Drexler dovette superare e del calendario poco benevolo, la franchigia texana riuscì a vincere solamente 17 delle ultime 35 partite della stagione NBA, chiudendo così al sesto posto nella Western Conference con un record di 47-35.
La squadra era ben bilanciata tra titolari e riserve, i primi cinque erano Kenny Smith, Vernon Maxwell, Clyde Drexler, Robert Horry e Hakeem Olajuwon. Uscivano dalla panchina Sam Cassell, Charles Jones, Chucky Brown e, appunto, Mario Elie. Quest’ultimo chiuse la stagione scendendo in campo in 81 partite su 82, con 8.8 punti, 2.5 rimbalzi e 2.5 assist di media a serata, tirando con un onestissimo 50% dal campo. Era il leader della second unit, come va di moda ora chiamare il quintetto delle riserve.
Nella postseason i Rockets superarono con difficoltà il primo turno battendo i Jazz 3 a 2, poi incrociarono i Suns di Barkley. Le due squadre si trovavano 110 pari in una torrida gara 7 a Phoenix. Kevin Johnson aveva appena sbagliato il primo tiro libero della sua serata dopo averne infilai 21 su 21 (ah il fato!). Palla a Houston che ha la possibilità di andare fino in fondo con il pallone. Horry pesca nell’angolo sinistro con un pallone fantastico Mario Elie, colpevolmente lasciato solo da Danny Ainge che si era staccato per portare pressione sulla rimessa. Nemmeno il tempo di pensare e subito la tripla del 113-110 che si insacca. Elie si gira verso la panchina di Phoenix e manda un bacio accompagnato da parole sicuramente non troppo gradevoli (oggi gli arbitri farebbero volare un tecnico probabilmente). Quella scena viene ricordata ancora oggi come “The Kiss of Death”, il bacio della morte.

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Gioco, partita, incontro a Houston che volò così in finale di Conference contro i primi della classe, i San Antonio Spurs. Riuscì a batterli in sei gare ed approdare in finale dove se la dovette vedere con gli Orlando Magic. In quella serie Tomjanovich decise di puntare su Elie come guardia titolare e venne ripagato con 16.3 punti di media con il 57% da tre e il 64% dal campo. La serie si concluse in 4 gare, nonostante nessuna di esse finì con uno scarto superiore agli 11 punti. Certamente il merito di quel secondo titolo vinto dagli Houston Rockets va dato ad Hakeem Olajuwon, che annullò Shaq in quella serie finale contro Orlando, ma probabilmente, a pensarci bene, senza Mario Elie quella serie non si sarebbe mai giocata.