Resta rovente la temperatura nello spogliatoio dei Cleveland Cavaliers dove si è arrivati, praticamente, al tutti contro tutti. I soliti ben informati parlano di sfuriate di Mike Brown, di caso Bynum e di continue liti tra Irving, Waiters e Thompson situazione esplosiva ereditata, secondo Jason Lloyd, giornalista dell’Akron Beacon Journal, dalla precedente gestione di Byron Scott. Anche Kyrie Irving parla di situazione grave all’interno dello spogliatoio e si è mostrato piuttosto turbato dalla vicenda:
“C’è un clima irrespirabile [nello spogliatoio]” ha detto il play “è qualcosa che dobbiamo risolvere.”
e se a parlare è l’uomo di punta della squadra, qualcosa evidentemente non sta funzionando a dovere.
Lo scorso anno Byron Scott fu criticato per aver fatto di Irving un suo “protetto” quasi ad esentarlo da colpe per i problemi avuti dalla squadra. Una situazione che si porta ancora dietro degli strascichi se dopo solo un mese di gare, dopo la pesante sconfitta con Minnesota, Waiters è arrivato ad accusare Irving e Thompson di giocare un basket troppo individualista e solo un intervento degli altri compagni di squadra ha evitato che la discussione degenerasse in rissa.
L’arrivo di Mike Brown voleva essere, nelle intenzioni della proprietà, un’inversione di tendenza netta: meno lassismo, più severità. E così effettivamente è stato. Sin dal suo arrivo Mike Brown ha fatto di Irving uno del gruppo, non uno sopra al gruppo, e ha richiesto a tutti standard di professionalità altissimi cui in molti non si sono ancora abituati. Ma il malcontento resta strisciante, Waiters continua a percepire un doppio standard di valutazione da parte del coach colpevole, secondo lui, di consentire a Irving di perdere molti palloni e prendersi pessime soluzioni di tiro, scelte di gioco che, se fatte da lui, lo relegherebbero lui in panchina.
Non a caso negli ultimi tempi il futuro di Irving in Ohio è stato più volte messo in discussione con alcuni rumors di mercato che vogliono il play di Melbourne pronto a chiedere di cambiare aria per vincere qualcosa ma soprattutto per trovare uno spogliatoio dal clima più “sano”.
Di ben diversa gravità, invece, è la vicenda Bynum. Il giocatore non riesce ad adattare il suo stile di gioco ad una mobilità ridotta e non riesce a superare la paura di farsi nuovamente male al ginocchio. Il centro ex Lakers e Sixers è stato sospeso (e multato) dalla franchigia per una partita (quella coi Celtics) per “condotta contro gli interessi della squadra” ora vive ai margini della squadra con il divieto di accedere alle strutture di allenamento. La franchigia e coach Brown non hanno fatto sapere ufficialmente cosa sia successo ma al lungo di Plainsboro sarebbe stata fatale un feroce faccia a faccia Irving e Waiters rei, a suo dire, di non servirlo adeguatamente (accusa mossa ai due in passato anche da coach Brown) cui sarebbe poi seguiti pesanti insulti al coach (l’unico nella franchigia dell’Ohio ancora convinto che il giocatore possa tornare a spostare gli equilibri di una gara) che cercava di placare gli animi.
“Sono dispiaciuto per il giocatore ma sono certo che Andrew possa tornare ad essere un giocatore importante” ha detto coach Mike Brown che ha poi proseguito “In una stagione ci sono alti e bassi bisogna saperli accettare, il mio compito da head-coach è andare avanti. Non si possono sprecare energie nello spogliatoio.”
Vista la mal parata e la mancanza di rispetto nei suoi confronti da parte di un giocatore, la sanzione disciplinare sarebbe quindi stata inevitabile per dare un chiaro segnale al resto della squadra, insomma: “punirne uno per educare gli altri”. Quello che suona strano nella vicenda è che tra tutti gli episodi di isterismo all’interno dello spogliatoio si sia atteso proprio quello di Bynum per punire qualcuno, guarda caso proprio il giocatore che più aveva scontentato il front-office per lo scarso rapporto rendimento/ingaggio.
Ma i problemi di rendimento dei Cavs vanno cercati altrove non in un introverso ragazzo di 26 anni, due volte campione NBA, una volta All-Star che non sa se ha un futuro come giocatore, ma in quella parte del front-office che prima chiama Anthony Bennett come prima scelta assoluta al Draft 2013 (mai nella storia della NBA una prima scelta aveva fatto segnare medie così basse) e poi, alla prima occasione prova a disfarsi di Bynum nel tentativo, neanche troppo velato, di liberare spazio salariale per cercare in estate di convincere LeBron James a tornare.
E’ evidente come dalle parti di casa Gilbert il lutto per l’addio di LeBron ancora non sia finito nonostante negli anni recenti nessun’altra franchigia oltre i Cavs abbia potuto contare su due prime scelte e due quarte scelte assolute divise in 3 draft consecutivi (2011-2013). Chiamare Anthony Bennett come prima scelta assoluta è stato un clamoroso errore ma se a Cleveland continueranno a gestire lo spogliatoio e la squadra in vista di un possibile (ma quanto probabile?) ritorno di LeBron i loro sogni sono destinati a rimanere delle chimere e la franchigia è destinata a restare invischiata nei bassifondi della classifica di una mediocre Eastern Conference e a perdere anche l’ultimo gioiello di casa: Kyrie Irving. Ne vale davvero la pena?