Numeri. 29.2, 175, 60, 10.6. Non è facile trovare un singolo giocatore della NBA 2016/2017 che i numeri presentino meglio di quanto facciano con Isaiah Thomas. Il folletto di Boston sta giocando una stagione stellare, che lo ha ormai consacrato nella élite della Lega, al pari di stelle molto più note di lui. Se vi isolate un attimo nel silenzio, non è escluso che possiate sentire in lontananza qualcuno che grida “MVP! MVP!”.
I Celtics al momento hanno un record di 48-26 e sono praticamente appaiati in testa alla Eastern Conference ai Cavs campioni in carica. Erano ben 6 stagioni che la franchigia non si apprestava a concludere la regular season con una percentuale di vittorie superiore al 60%, e se questo sembra essere l’anno buono per tornare tra le contenders ad Est non lo devono alla decisione di qualche fenomeno di “portare i suoi talenti” nel Massachusetts. E’ stato infatti grazie al sapiente lavoro del front office che la franchigia ha saputo ricostruire pazientemente dalle ceneri dell’epoca dei Big Three una squadra che per la quarta stagione consecutiva migliorerà il proprio record, senza sfruttare accelerators come l’acquisto di una stella già affermata ma lavorando bene con tutte le scelte acquisite negli anni di rebuilding (i Nets ne sanno qualcosa) e prendendo i tasselli giusti durante la free agency. Tra questi colpi rientra anche la trade del febbraio 2015 in cui Danny Ainge ha portato in biancoverde, girando ai Suns Marcus Thornton ed una prima scelta protetta, proprio Thomas. Ed è in lui che coach Brad Stevens, l’altro volto della rinascita, ha trovato il leader in campo con cui far compiere un altro passo ai Celtics, portandoli da squadra in crescita a protagonista ai vertici della Eastern Conference.
L’affermazione di Thomas ad altissimi livelli è certificata dall’incremento della sua produzione in campo rispetto alla scorsa stagione (quest’ultima a destra), che registra una crescita evidente soprattutto nei punti realizzati con ogni tipologia di tiro, e nella USG% pari a 33.9, massimo in carriera, che lo pone al 5° posto nella classifica dei giocatori che giocano la maggior parte dei possessi delle proprie squadre. Ma il #3 dei Celtics non si è limitato a questo, ma sta anzi ritoccando pressoché ogni suo precedente primato: è semplicemente il secondo miglior realizzatore della Lega con 29.2 PPG (7 punti in più della sua miglior annata in tal senso) ottenuti con oltre il 46% al tiro, un’ottima eFG% pari al 54.4 insieme ad un aumento importante del numero di tiri presi, due aspetti che di solito non vanno certo di pari passo. Non fosse per il pur eccellente 38.3% al tiro pesante, Thomas starebbe bussando alla porta di uno dei club più prestigiosi ed esclusivi della NBA, il celebre 50-40-90 al quale sono iscritti appena 7 giocatori e che non riserva posto a stelle di gran lunga più affermate di lui.
Ciò che tuttavia stupisce di più del piccolo play di Boston è quanto realmente sia piccolo. Thomas si è presentato al via della stagione 16/17 come il giocatore più basso dell’intera Lega con i suoi 175 centimetri. Semplicemente roba da non credere: nel campionato più importante di uno sport che già di per sé favorisce i giganti, dove ogni anno si vedono sempre più giocatori che alle capacità tecniche affiancano un fisico dominante, il secondo miglior scorer è alto quanto l’uomo medio italiano, praticamente come il vostro vicino di casa, per intenderci. Ma come è possibile? E’ possibile soltanto se hai due caratteristiche fondamentali: tenacia e resilienza. E Thomas le ha entrambe.
Nel 2008 era listato come appena il 92esimo miglior prospetto degli Stati Uniti, ma la sua voglia di non mollare mai lo porta, tre anni più tardi, ad un’ottima ultima stagione con gli Huskies dell’Università di Washington chiusa con 17 punti e 6 assist in 32 minuti in media, un’incetta di premi che non finisce più e questa perla qua nella finale della Pacific 10 contro Arizona.
Sembra davvero che sotto i piedi abbia un tappeto elastico.
Sì, però è 1.75. In una Lega dove un giocatore comune è almeno 20 centimetri e decine di chili più di lui, il suo impatto è ottimisticamente quanto meno molto problematico. Questi sono i punti interrogativi dello scout con cui Thomas si presenta al Draft del 2011 e che non fanno associare il suo nome a nessuna delle prime 59 scelte. Ma all’ultima, alla 60esima scelta, Sacramento decide di ritoccare un roster che già assomiglia ad un’accozzaglia amorfa con l’ex Husky, dando il via ad una scalata che nonostante tutto non ha ancora trovato la propria fine.
Se il mondo finisse adesso, la fine della scalata del #3 di Boston sarebbe una stagione vissuta a livelli statistici eccellenti. Gli 1.135 punti per possesso lo collocano nel 96esimo percentile della Lega, “soltanto” settimo tra i giocatori che si rendono protagonisti in almeno 10 possessi a partita ma con una quantità di azioni gestite superiore a tutti coloro che lo precedono, un dato che tende sempre ad abbassare la produttività. E’ lecito quindi pensare che se i Celtics avessero un altro finalizzatore di alto livello, Isaiah guarderebbe davvero tutta la NBA dall’alto in basso in quanto a pericolosità offensiva. La sua importanza è sottolineata dal fatto di avere il massimo OFFRTG tra i suoi compagni di squadra (113.1, massimo in carriera) e da altri indicatori come la TO RATIO di 8.3 (percentuale delle turnovers di squadra, ottima considerando i valori per gli altri ball-handlers con responsabilità offensive simili alle sue), il AST/TO pari a 2.26 o il PIE (Player Impact Estimate) di 16.2.
Per stare in NBA rendendo centimetri su centimetri a tutti gli avversari, Thomas ha dovuto lavorare per trasformare l’altezza in un vantaggio: riesce ad essere stabile, saldo, on-balance grazie ad un baricentro molto basso, e fortemente rapido ed esplosivo. In questo modo riesce a sfruttare anche gli spazi più piccoli che l’inevitabile lentezza degli avversari gli concede ed a raggiungere angoli di torsione impensabili per i giocatori dotati di una stazza normale.
Il P&R è la giocata che gli ha permesso di sfruttare le sue caratteristiche al meglio: in questa situazione, sfruttata nel 34% dei suoi possessi, produce ben 1.06 PPP che lo collocano nel 94esimo percentile ed al sesto posto tra coloro che ne guidano almeno 4 a partita.
Le percentuali di realizzazione nei tiri da qualunque situazione hanno visto un miglioramento straordinario rispetto alla scorsa stagione ed i P&R non fanno differenza, passando dal 39% al 46%. La sua altissima produttività è dovuta ad un ottimo set con cui chiude i giochi dopo un blocco: il fisico minuto ma fortemente atletico e robusto gli permette di cambiare facilmente posizione in aria e di assorbire bene i contatti dei difensori, che spesso se lo vedono arrivare a tutta velocità e saltare addosso. A Thomas questo serve per iniziare il contatto e proteggersi da eventuali stoppate, in cui lo aiuta anche la sua capacità di aggiustare la palla in aria. In questo modo riesce anche spesso a guadagnarsi molti falli e giri in lunetta (sesto per numero di liberi guadagnati e terzo per percentuale di realizzazione tra i giocatori che ne tirano almeno 4 a partita). Inoltre è molto bravo a raggiungere la zona dei gomiti dopo aver sfruttato un blocco per poi leggere le scelte della difesa, che è costretta a concedergli spazio per contrastare la sua velocità nell’arrivare al ferro ma allo stesso tempo non può sottovalutare la grande elevazione che gli permette di prendersi ottimi jumpers o attrarre la difesa per servire i compagni, una specialità in cui è ancora a livelli eccellenti (84esimo percentile), in particolare quando scarica per gli spot-up shooters. La zona di campo preferita per i P&R è quella centrale, ma la più alta produttività viene raggiunta sul lato destro.
La zona destra è anche la stessa dove viene mandato dalla difesa nei suoi isolamenti (+5% FG rispetto allo scorso anno), la sua terza situazione più giocata e quella più efficace (con 1.136 PPP è primo assoluto tra i giocatori con almeno 2 isolamenti a partita), specie quando giocata dalla punta. Come già visto per DeRozan, uno dei segreti di Thomas è come riesca ad eludere i tentativi avversari di penalizzarlo spingendolo ad usare la mano debole quando penetra durante un isolamento: nonostante venga spinto a destra nel 56% delle volte, la sua produttività è addirittura maggiore sul lato destro piuttosto che sul sinistro. Queste statistiche sono favorite dalla sua accelerazione e dalla straordinaria esplosività, che gli permettono di dare improvvisamente forti strappi che per uno con un corpo che gli impedisce di sfruttare certe altre giocate sono una manna dal cielo. In isolamento poi i difensori si trovano costretti a reagire ai suoi frequenti cambi di velocità, difficili da seguire e molto probanti per chi lo sta marcando, dato che oltre alla forza di reazione bisogna avere anche la rapidità per restargli davanti. Le sue giocate simboliche sono essenzialmente due: l’high floater, con un tocco morbidissimo che gli permette di evitare le stoppate dei lunghi avversari (e quando sei alto 1.75 è bene averlo nel proprio arsenale), e l’half spin, con cui dà al difensore l’impressione di star rallentando ma che invece è solo il preludio ad uno strappo improvviso difficilmente contrastabile se non sei concentrato al massimo con cui lascia indietro chi lo fronteggia e, quando eseguito ad inizio azione, inganna spesso e volentieri anche i lunghi disattenti.
Se poi la difesa gli concedesse qualche metro per prevenire le sue penetrazioni confidando di poter comunque contrastare un tiro scagliato da quella (poca) altezza, si imbatterebbe in uno dei suoi segreti peggio nascosti di Isaiah, ovvero l’estrema efficacia del suo jumper. La sua grande produttività (1.139 punti per possesso, 92esimo percentile) è dovuta innanzitutto alla straordinaria elevazione, necessaria quando regali 20 centimetri a tutti, che gli permette appunto di superare un buon numero di avversari quando si eleva per il tiro in sospensione, ed al movimento che fa con il resto del corpo. I piedi infatti scorrono in avanti, facendolo atterrare solitamente più avanti del punto dello stacco, specialmente sulle triple che si prende in corsa, mentre le spalle cadono all’indietro, permettendogli di raggiungere il range massimo per il tiro, e la potenza e la stabilità del suo core gli consentono di restare in aria per un tempo significativo e con una compattezza importante.
L’arsenale di Isaiah è dunque molto ampio. In nessuna situazione offensiva in cui gioca un buon numero di possessi (ad esempio niente post-up, ovviamente) raggiunge un livello che non sia almeno molto buono: tiri piazzati, tagli backdoor, uscite dai blocchi sono tutte armi molto efficaci e talvolta anche sottovalutate, quando lo si considera pericoloso solo in situazioni on-the-ball trascurando che con quel corpo può passare negli spazi più angusti e ad una velocità doppia rispetto agli avversari.
La sublimazione del gioco che è riuscito a raggiungere in questa stagione, però, ha un nome preciso: 4th quarter. Isaiah Thomas sta viaggiando a 10.6 punti a partita nel solo quarto periodo, quasi 13 punti nel solo mese di gennaio, ed è ovviamente il leader NBA di questa specialità (non fa male ricordare che è anche il giocatore più basso). Tanto per contestualizzare, i due mostri Westbrook e Harden che stanno facendo registrare cifre illogiche riescono a malapena ad avvicinarlo (RW0 è secondo ma a quasi 2 punti medi di distanza, Harden neppure si vede all’orizzonte). Questi numeri irreali, forse impossibili da comprendere davvero fino in fondo dato quanto siano senza senso, sono anche impreziositi dal fatto che Thomas è appena 19esimo in NBA per minuti giocati nell’ultimo quarto (meno di 9 a partita). Il OFFRTG di 121.2 è altissimo e vale il terzo posto in questa graduatoria, e la USG% è superata solo da quella di Westbrook e del Cousins di Sacramento, che però non dispongono intorno a loro di un All-Star come Horford o di un sistema offensivo organizzato ed ampio come quello di Boston. Nella striscia di 5 vittorie consecutive dei Celtics di fine gennaio, poi, si è permesso quarti periodi di questo genere:

Thomas si è ormai guadagnato il titolo di 4th quarter killer, ma qual è la squadra che sta uccidendo? Perché parlare delle sue performance negli ultimi periodi significa esaltare ciò che fa nella metà campo offensiva ma anche aprire la porta su quella difensiva. In parallelo a tutto quanto visto fin qui ci sono infatti i terribili numeri che vengono registrati quando è on the court negli ultimi 12 minuti di partita ma anche nell’intero match: nel quarto periodo, il suo DEFRTG è il secondo peggiore tra tutti i giocatori NBA (solo TJ Warren fa peggio), tanto da produrre un NETRTG addirittura negativo, pari a -0.4, che diventa +14.2 quando invece è in panchina. Considerando l’intera partita, quando Thomas è in campo fa registrare il miglior OFFRTG di squadra ed allo stesso tempo il peggior DEFRTG. E’ una situazione anomala, quasi paradossale: la squadra ha troppo bisogno di lui in attacco, dove è il leader tecnico ed emotivo, il migliore del costruirsi un tiro in proprio ed il go-to-guy nei finali di partita, ma al tempo stesso la difesa non è tanto migliore di quella dei Sixers del tanking quando è in campo e diventa invece ottima quando è in panchina. Da questo punto di vista è emblematico il rendimento difensivo dei compagni quando Thomas non è in campo:
A conferma di tutto questo c’è il fatto che Boston spesso perde gli ultimi periodi, nonostante gli ormai consueti deliri offensivi di Isaiah. Il mese di gennaio è stato il perfetto esempio di questa situazione: come già visto, Thomas ha sfiorato i 13 punti di media nel quarto quarto, e contemporaneamente Boston ha fatto registrare i peggiori numeri difensivi stagionali sia generali sia nei soli ultimi 12 minuti.
I motivi del pessimo rendimento di Thomas nella metà campo difensiva sono sicuramente da imputare prima di tutto a lui stesso, che oltre ad un fisico che non lo aiuta non ha nemmeno un’attitudine in difesa grandiosa quanto quella in attacco. Le considerazioni da fare sono però più ampie. Sarebbe ingenuo ritenere che le cattive statistiche difensive di Boston siano soltanto colpa sua: lo scorso anno, infatti, i Celtics avevano numeri migliori, pur avendo già Thomas in squadra, ma va aggiunto che non avevano Horford, il lungo di prima fascia fortemente cercato durante la free agency. Pur calandosi come previsto alla perfezione in un sistema offensivo a lui congeniale come quello di coach Stevens, l’ex Atlanta ha una scarsa attitudine difensiva che in una squadra che ha già un’altra stella sotto la sufficienza in difesa diventa un lusso difficile da permettersi.
Le lacune di Thomas e Horford messe insieme sono molto pesanti nel giudicare le difficoltà difensive di Boston (14esima per punti concessi agli avversari, ultima per percentuale di rimbalzi difensivi catturati e per punti concessi su seconda chance, penultima a rimbalzo) ed erano forse un fattore da tenere in considerazione prima di arrivare vicino alla fine della ricostruzione post anello 2008. La struttura offensiva implementata da Stevens prevede l’utilizzo di lunghi atipici, perimetrali ed intelligenti come Olynyk, Jerebko o lo stesso Horford, ma questo ha finito per ripercuotersi nella metà campo difensiva dove l’assenza di un rim protector pesa come un macigno. Tutti i big men del roster non garantiscono quella presenza in area che permetterebbe agli esterni, che pure sono difensori on-the-ball più che buoni (vedi Bradley o Crowder), di alzare la pressione difensiva. Non è un caso infatti che la difesa vada meglio quando il centro è Johnson, non un intimidatore puro ma il migliore quando viene chiamato in aiuto sulle penetrazioni. Il problema rimbalzi è inoltre amplificato dai quintetti molto piccoli spesso in campo: il trio formato da Thomas, Bradley e Smart, tutti sotto i 195 centimetri, è il peggiore in fase difensiva, ma insieme a Olynyk/Johnson e Crowder/Horford (che spesso li affiancano nel clutch time) sono la terza e la quinta line-up più usata.
Tutto ciò contribuisce al pessimo rendimento difensivo di Thomas. Pur indispensabile per il suo gioco, Boston non sa ancora sfruttarlo al meglio, non riuscendo a compensare con più continuità le sue carenze difensive, soprattutto contro i top team (contro cui i Celtics perdono spesso e volentieri) e negli ultimi quarti. Dalla riuscita o meno di questo piano passerà il prossimo futuro di Boston. D’altronde, la storia anche recente della NBA è piena di squadre che hanno imparato a nascondere le lacune in difesa delle loro stelle: Nash veniva sistematicamente protetto a Phoenix, ed oggi non accade molto diversamente a Harden ed in parte anche a Curry. I numeri difensivi non dicono né che Thomas vada messo in panchina né che sia la ragione delle lacune di Boston, ma che la situazione dei Celtics, seppur in rapida crescita, è più complessa di quanto poteva sembrare ed ancora lontana dall’essere completa.

Una cosa però è certa. Se finora nell’immaginario collettivo ogni grande squadra si identificava con la sua stella, come Houston con Harden o Cleveland con LeBron, questa stagione ha decretato che anche il binomio Boston-Thomas non è da meno: l’orgoglio e quel misto di senso di rivalsa ed appartenenza sono caratteri comuni ad entrambi, e renderanno la off-season e le stagioni a venire molto interessanti. I Celtics hanno trovato il loro leader, un Davide immerso in una lega di Golia che non vincerà forse il titolo di MVP ma che darà filo da torcere a chiunque. E la Bibbia insegna che l’esito non è sempre così scontato.