Lillard continua a dominare, merito di ciò che ha imparato a Weber State?
Photo took from solecollector.comCome tutti ben saprete questo è l’anno di Damian Lillard, il rookie di Weber State infatti sta collezionando numeri fantasmagorici tanto che non è mai sceso dalla cima della nostra classifica dopo averla conquistata nella prima settimana. Lillard sta facendo una scalata da sogno infatti, dopo l’high school, era considerato un prospetto di basso livello (valutato con 2 stelle su 5 secondo Rivals.com) e Weber State è stato il miglior college a proporgli una borsa di studio, non certo una superpotenza ma Lillard non si è demotivato tanto che, dopo un primo anno come seconda e talvolta terza opzione offensiva, si è imposto come leader della squadra riscrivendo il libro dei record dell’ateneo nei suoi quattro anno di college (tecnicamente risulta che ne ha fatti tre di anni per via di un redshirt medico per l’infortunio che ha limitato la sua terza e penultima stagione a 10 partite giocate). E’ proprio questo l’argomento di oggi: i quattro anni di college. Come mai sempre meno giocatori restano fino all’ultimo anno? Essere freshman in vista del Draft è un punto a favore o un deterrente? E’ davvero una buona scelta abbandonare in fretta il college basketball? Vediamo di capirci qualcosa.
In passato vedere un freshman tra le primissime scelte al Draft era quantomeno fantascienza, nessuno in NBA avrebbe mai considerato la scelta di un giocatore così acerbo dal punto di vista dell’esperienza e del gioco organizzato ad alto livello così come nessun giocatore di NCAA avrebbe mai rinunciato ad un’istruzione universitaria associata all’allenamento con alcuni dei migliori allenatori d’America infatti anche molte leggende come Wilt Chamberlein, Oscar Robertson, Kereem Abdul-Jabbar, Larry Bird e Michael Jordan hanno frequentato almeno tre anni di college e non sembra che gli abbia fatto male.
Per vedere un freshman o un liceale alla prima scelta assoluta al Draft dobbiamo aspettare il Draft del 2001 quando i Washington Wizards, su indicazione di Michael Jordan, scelsero il liceale Kwame Brown, noto oggi come uno dei più grandi flop della storia dei Draft NBA. Da questo momento però il trend è cambiato completamente e i giovanissimi freshman (o liceali finché le regole NBA lo hanno permesso) sono diventati i più gettonati come prime scelte assolute: negli undici Draft che dividono la chiamata di Kwame Brown ai giorni nostri abbiamo visto la prima scelta assoluta associata a due liceali (LeBron James e Dwight Howard) e cinque freshman (Greg Oden, Derrick Rose, John Wall, Kyrie Irving e Anthony Davis). Ovviamente essere la prima scelta assoluta non dice tutto sulla qualità e sull’impatto di un giocatore, figuriamoci di un intero Draft, basiamoci su un altro dato interessante, quello riguardante i vincitori del premio di Rookie of the Year. Mai abbiamo visto un vincitore di tale premio con meno di due stagione al college prima di Amar’e Stoudemire, precedentemente solo giocatore liceale così come il giocatore che avrebbe vinto il premio l’anno successivo e cioè LeBron James a cui poi seguirono quattro freshman in cinque anni (Kevin Durant, Derrick Rose, Tyreke Evans e Kyrie Irving).
Kwame Brown nel giorno che lo incoronò come il primo liceale a diventare la prima scelta assoluta di un Draft NBA
Photo took from media.nj.comI dati del Draft parlano chiaro, anche solo a inizio anni 2000 era facile vedere più di 30 senior scelti e gli underclassman erano principalmente dei junior, l’esempio più lampante di questa considerazione è il Draft del 2002 (Draft da 58 scelte per l’assenza degli Charlotte Bobcats, diventate poi 57 perché Minnesota rifiutò a scegliere nel primo giro per insufficienza di spazio nel salary cap) in cui sono stati scelti ben 31 senior e 13 junior, ciò vuol dire che sommando freshman e sophomore ci limitiamo a 13 giocatori, decisamente un nulla considerando che già nel 2004 i freshman scelti sono stati 16, senza contare i sophomore. Dopo un breve momento di insicurezza nel 2006 in cui sono state ben 47 le chiamate tra junior e senior lasciando a 13 il risultato della somma “sophomore+freshman”, arriviamo alle annate storiche sotto questo punto di vista come quella del 2010 in cui sono stati selezionati solo 20 senior contro 10 freshman e 13 sophomore, anche se il Draft più memorabile resta quello del 2008 in cui ben 22 delle 30 scelte del primo giro sono state freshman o sophomore. Sono proprio queste ultime parole che più fanno capire quanto sia cambiato il Draft NBA, non sono i numeri delle scelte a fare la differenza ma la qualità di queste ultime. In passato infatti gli underclassman scelti al primo giro erano ottimi prospetti che non finivano alla numero uno per mancanza di esperienza ma occupavano le posizioni di lotteria, oggi invece le prime posizioni sono letteralmente monopolizzate dai giovanissimi, i senior servono solo a riempire i vuoti del secondo giro in quanto, si dice, abbiano meno potenziale. Ma è davvero sufficiente avere un anno e mezzo in meno sui documenti per essere preferiti a un giocatore che si è rivelato dominante nell’ultima stagione, molto più del collega più giovane? Evidentemente sì ma non vuol dire che anche gli altri non possano avere futuro, molti giocatori snobbati nel Draft si sono ritrovati (o si trovano tutt’oggi) a dettare le regole sul parquet. Un esempio recente? Kenneth Faried, scelto alla numero 22, come Lillard un senior proveniente da un piccolo college e ritenuto quindi non pronto per la NBA oltre che poco futuribile ma sappiamo tutti che se il Draft 2011 dovesse essere rifatto oggi andrebbe in maniera diversa. Un altro esempio lampante è David Lee, ottimo nei suoi quattro anni a Florida ma scelto solo come ultimo del primo giro nel 2005 perché considerato con un potenziale inferiore rispetto ai più giovani Ike Diogu, Yaroslav Korolev e Johan Petro.
Questa moda ha portato anche a un altro fenomeno, sono sempre di più infatti gli underclassman a dichiararsi per il Draft pur sapendo di non essere considerati da lotteria o tantomeno da primo giro solo per l’impazienza di entrare nella Lega anche se ciò dovesse portare alla rovina di grandi talenti o alla loro sparizione dalle carte geografiche: ci servirebbe un intero libro infatti per elencare tutti gli strepitosi talenti collegiali scomparsi nel campionato cipriota, in quello estone o nelle varie leghe minori americane. Un esempio lampante è Josh Selby, considerato il miglior giocatore d’America al suo arrivo a Kansas, anche davanti a gente come Kyrie Irving, Harrison Barnes, Jared Sullinger, Brandon Knight e Tristan Thompson ma dopo una sola stagione tutt’altro che esaltante ai Jayhawks, limitata anche da una squalifica della NCAA, ha deciso comunque di dichiararsi per il Draft 2011 venendo chiamato solo alla numero 49 per farsi poi sballottare tra una squadra di D-League e un’altra fino a ritrovarsi senza nemmeno uno straccio di contratto NBA. Va detto che molti giocatori che si dichiarano prima del previsto per il Draft lo fanno per aiutare economicamente la propria famiglia in difficoltà ma ovviamente non possiamo fare di tutta l’erba un fascio, sono anche molti i giocatori che lo fanno perché pensano di essere i migliori o perché pensano che sia arrivata l’ora di “fare cassa” col proprio talento o più semplicemente perché non riescono a reggere i ritmi degli studi universitari.
In ogni caso tra i giocatori che più stanno dominando questo che in teoria doveva essere l’anno dei freshman troviamo Lillard, il quale ha frequentato 3 anni in un piccolo college, i tre europei Valanciunas, Motiejunas e Shved, lasciati a maturare in Europa, così come Singler, per non dimenticare Sullinger, Waiters e Barnes i quali hanno preferito prolungare l’esperienza al college a due stagioni. Forse restare al college un po’ di più non è proprio tutto tempo sprecato.
Ranking
1° Damian Lillard, Playmaker, Portland Trail Blazers. Settimana precedente: 1°
Punti 19.1 (top), Rimbalzi 3.2, Assist 6.5 (top), Recuperi 1.0, 43% dal campo, 35% da tre, 86% ai liberi in 38.5 minuti (top)
Preparatevi ad una raffica di canestri, dato che l’obiettivo di Lillard sembra essere quello di raggiungere i venti punti di media a partita. Nelle ultime cinque, l’ex Weber State, è a 26.2. Ce la farà? Non è affatto facile, ma contro Lillard è meglio non scommettere.
2° Anthony Davis, Ala Grande, New Orleans Hornets. Settimana precedente: 3°
Punti 12.9 Rimbalzi 7.9 (top), Assist 0.9, Recuperi 1.1 (top), Stoppate 1.8 (top), 51% dal campo, 72% ai liberi in 28.2 minuti.
Che settimana per Anthony Davis! Numeri d’altissimo livello contro Brooklyn (17 ,11, 5stoppate), nella vittoria a Portland (18 e 10), e contro il duo Gasol-Randolph in quel di Memphis (addirittura 20 e 18!). Questa è la risposta, e che risposta, ai dubbi sollevati sul Monociglio nel Ranking della scorsa settimana!
3° Dion Waiters, Guardia, Cleveland Cavaliers. Settimana precedente 4°
Punti 14.6, Rimbalzi 2.4, Assist 3.2, Recuperi 1.0, 41% dal campo, 31% da tre, 77% ai liberi in 29.5 minuti
Impossibile superare questo Davis, ma Waiters, come da pronostico, ce ne ha fatte vedere delle belle nelle due gare disputate dai Cavs negli ultimi sette giorni. Ottima la prestazione da 21 punti contro Toronto, ancor migliore quella contro Washington, vinta anche graizie al ventello dell’ex Syracuse.
4° Bradley Beal, Guardia, Washington Wizards. Settimana precedente 2°
Punti 14.2, Rimbalzi 3.7, Assist 2.5, Recuperi 1.0, 40% dal campo, 37% da tre, 79% ai liberi in 31.9 minuti.
Tutto fermo causa infortunio. Peccato.
5° Donatas Motiejunas, Ala Grande/Centro, Houston Rockets. Settimana precedente: 8°
Punti 5.3, Rimbalzi 1.7, Assist 0.7, 52% dal campo, 34% da tre punti, 62% ai liberi in 9.6 minuti.
Il grande controsenso. Quando Houston sembrava lontana dalla lotta playoff, Motiejunas marciva in panchina con gli altri rooies dei Rockets. Ora che la corsa è diventata quanto mai serrata, eccolo in quintetto a battagliare contro le migliori ali grandi della Lega. L’esperienza però non manca, e il contributo da 10 + 3 nelle ultime di dieci gare ne è una testimonianza. Se poi ne arrivano 19 come contro i Suns, è tutto di guadagnato. Sorpresona di fine stagione.
6° Harrison Barnes, Ala, Golden State Warriors. Settimana Scorsa: 7°
Punti 9.0, Rimbalzi 4.0, Assist 1.3, Stoppate 0.4, 43% dal campo, 34% da tre, 73% ai liberi in 25.7minuti.
L’idea è sempre quella di un giocatore senza mordente, e le partite contro Milwaukee, 10 + 5 sonnecchiando, e NewYork, 5, ne avvalorano la tesi. Poi arrivano, con una facilità spaventosa, 13 punti in 19 minuti, 6/7 dal campo, contro Detroit. Ovviamente decisivi per la vittoria dei Warriors. Harrison, non te la vogliamo tirare, ma quanto assomigli a Marvin Williams…
7° Jonas Valanciunas, Centro, Toronto Raptors. Settimana precedente: 10°
Punti 7.1, Rimbalzi 5.6, Assist 0.7, Stoppate 1.1, 51% dal campo, 73% ai liberi, in 21.0 minuti.
Senza Bargnani è un’altra vita. Nelle quattro gare settimanali, Valanciunas ha dato spettacolo, nel ruolo di centro titolare dei Raptors. Tre volte in doppia cifra, 10 contro Phoenix, 12 contro i Lakers e 11, decisivi per la vittoria, contro Cleveland, Jonas ha mancato di un soffio la quarta gara consecutiva sopra i dieci, contro Boston. Poco male, il finale di stagione è tutto suo.
8° Kyle Singler, Ala Piccola/Guardia, Detroit Pistons. Settimana precedente: 9°
Punti 8.9, Rimbalzi 3.9, Assist 1.0, Recuperi 0.7, Stoppate 0.5, 43% dal campo,36% da tre punti (top), 81% ai liberi, in 28.1 minuti.
Premiato per i 17 contro Golden State. Per il resto, poca roba, sia lui che i Pistons, che da quando manca Drummond, sono una pena.
9° Michael Kidd-Gilchrist, Ala, Charlotte Bobcats. Settimana precedente: 5°
Punti 9.0, Rimbalzi 5.6, Assist 1.6, Stoppate 1.0, 45% dal campo, 22% da tre, 75% ai liberi, in 25.8 minuti
Sembrava essere ripiombato in un periodo nero, MKG, ma per fortuna si è ripreso con la partita all-around (9 punti, 8 rimbalzi, 2 assist, 2 stoppate) contro i Boston Celtics, utile per la quattordicesima (già…) vittoria dei Bobcats.
10° Alexey Shved, Guardia, Minnesota Timberwolves. Settimana precedente: 11°
Punti 9.8, Rimbalzi 2.6, Assist 3.9, Rubate 0.7, 36% dal campo, 29% da tre, 72% ai liberi, in 26.6 minuti.
Lo zar Alessio si è adombrato dietro la stella di Ricky Rubio. Quanto sia importante per i T’Wolves, però, lo ha dimostrato contro San Antonio, dove, tornato a segnare più di 10 punti e a realizzare più di 5 assist, ha trascinato, insieme allo spagnolo, i lupi alla vittoria. Male ma non malissimo contro Indiana. Speriamo sia in crescita.
11° Terrence Ross, Guardia, Toronto Raptors (NC)
Ne segna 14 contro Cleveland e 13 contro i Lakers. Top Ten sfiorata.
12° Moe Harkless, Ala, Orlando Magic. (6°)
Male e poi 12 e 4 contro i Lakers. Si riprenderà.
13° Chris Copeland, Ala, New York Knicks (NC)
Lo zio Chris è tornato, in coincidenza del peggior periodo dei Knicks (non casuale). Nel garbage time, ma pure sempre 10.8 di media nelle ultime quattro.
14° John Jenkins, Guardia, Atlanta Hawks (NC)
Dodici, pesantissimi, nella vittoria contro i Lakers.
15° Jae Crowder, Ala, Dallas Mavericks (NC)
C’è tanto Jae Crowder nelle recenti vittorie dei Mavs. Super contro Milwaukee
Classifica Generale:
Come l’anno scorso ci sarà un metodo per eleggere il Rookie of the Year di Basketinside. Assegneremo ogni settimana un punteggio in base alla posizione nella classifica settimanale, a fine anno chi avrà più punti in assoluto sarà il rookie dell’anno secondo Basketinside.com. Il primo guadagnerà 25 punti, il secondo 20, poi 17, 14, 12, 10, 8, 6, 4, 3. Dall’undicesimo al quindicesimo si guadagna 1 punto.
Damian Lillard 475
Anthony Davis 282
Dion Waiters 266
Brad Beal 212
Michael Kidd-Gilchrist 196
Alexey Shved 191
Harrison Barnes 182
Kyle Singler 138
Andre Drummond 76
Tyler Zeller 55
Jonas Valanciunas 42
Andrew Nicholson 38
Moe Harkless 31
Jeffery Taylor 30
Donatas Motiejunas 26
Jae Crowder 25
Jares Sullinger 24
Brian Roberts 23
Austin Rivers 14
Chris Copeland 11
John Henson 10
Terrence Ross 9
Thomas Robinson 6
Pablo Prigioni 4
John Jenkins 3
Draymond Green, Meyers Leonard 2