C’era una volta un mago,
un mago molto particolare. Per fare magie non aveva infatti bisogno di una bacchetta o di pronunciare delle particolari formule magiche, ma gli bastava una palla, possibilmente a spicchi, un campo, se di parquet ancora meglio, e un canestro. Come ogni mago che si rispetti, si dimostrò un predestinato e iniziò sin da subito a mostrare le sue doti, inanellando vittorie e riconoscimenti, bruciando le tappe e spalancandosi, come meglio non avrebbe potuto, le porte del vero regno della magia cestistica, l’NBA. È qui che le cose cominciarono a complicarsi per il nostro protagonista che, in maniera scostante e a fatica, iniziò a dimostrare le proprie qualità. Le grandi aspettative e la serrata concorrenza misero però quel mago venuto da lontano in grande difficoltà, cominciando a mettere dei dubbi sulle sue vere capacità illusionistiche. Forse si è trattata proprio di un’illusione. In molti, anche coloro che lo avevano acclamato e che credevano ciecamente in lui, iniziarono a vederla proprio in questa maniera. Il mago perdette così l’ingrediente principale per far sì che la sua magia potesse finalmente esplodere: la fiducia in sé stesso. Nel momento in cui si iniziò a parlare più dei suoi difetti che delle sue abilità, capì che la ruota stava purtroppo girando. Anche in patria diventò più motivo di bersaglio che ragion di orgoglio, anche per colpa di diversi mancati ritorni e la lontananza, si sa, non ha mai aiutato i rapporti difficili. Le ultime batoste furono i malanni fisici contro cui anche i più grandi stregoni fanno fatica e che lo costrinsero a una straziante inoperosità che gli impedì ogni tentativo di riscatto. E ora, siamo forse arrivati alla fine o almeno, ad una logica conclusione? Il nostro mago rimarrà incompiuto e tornerà nella dimensione dei comuni mortali? La strada intrapresa potrebbe farci propendere per questa opzione, ma non c’è favola che non abbia un lieto fine, perciò vogliamo conservare almeno la speranza di un ritorno in grande stile, di una resurrezione. Non diventerà Merlino o Harry Potter ma a noi basta che torni il “Mago” Andrea Bargnani, quello che l’Italia cestistica idolatrava circa 8 anni fa.
E’ proprio di lui che si parlava in questa fiaba, di Andrea Bargnani, nato esattamente 29 anni fa a Roma e soprannominato “Mago” da Riccardo Pittis, pluridecorato campione italiano con le maglie di Milano e Treviso; insomma, uno che nella sua carriera di giocatori ne ha visti molti. Con un nome d’arte così ci è parso quasi naturale introdurre con una favola quella che, a tutti gli effetti, è una storia vera, una parabola discendente di un giocatore che è entrato nella storia dalla porta principale. Le porte della storia però sono girevoli e ingannevoli, non fai in tempo ad entrare che già rischi di esserne sbattuto fuori o peggio di entrare nella storia sbagliata, in quella dei protagonisti mancati, degli sconfitti e delle eterne promesse. Bargnani è da tempo intrappolato in una di queste porte girevoli e, in questo continuo roteare su sé stesso, ancora non si riesce a capire se troverà mai l’ingresso oppure se imboccherà la strada che conduce all’uscita.
Dopo alcuni anni nelle giovanili della Stella Azzurra di Roma, nel 2003 viene acquistato dalla Benetton Treviso, una delle più grandi potenze del basket italiano dei primi anni del millennio. Lì ha in Ettore Messina, coach che non ha bisogno di presentazioni, un grandissimo estimatore che lo lancia immediatamente sul difficile palcoscenico della Serie A. Il ragazzo ha numeri e qualità da vendere; un lungo moderno e atipico, molto agile, capace di partire in penetrazione dal palleggio con facilità e proprietario di una più che buona mano destra, in grado di beccare il canestro anche dalla medio-lunga distanza. Caratteristiche che ti rendono speciale se sei alto 213 centimetri. La crescita procede spedita e senza ostacoli tanto che Bargnani 3 anni dopo, nel 2006, è uno dei protagonisti e trascinatori dello scudetto della società trevigiana (con David Blatt in panca) e a testimoniarlo c’è il premio di miglior giovane del campionato. La fama del lungo romano non rimane concentrata nei nostri confini e si estende a livello internazionale , favorita dall’assegnazione del Rising Star Trophy, il premio che ogni anno viene conferito al miglior under 22 dell’Eurolega. Dall’Europa all’America, le voci e le immagini ci mettono poco a sorvolare l’oceano ed ecco che una data storica per tutto il basket europeo inizia ad avvicinarsi.
E’ il 28 giugno 2006, a pochi giorni dalla vittoria dello scudetto, e Bargnani viene scelto al draft NBA come prima scelta assoluta. Mai prima di allora un europeo era stato designato così in alto da una franchigia americana . Inoltre Bargnani è anche il secondo giocatore non formatosi nei college o nelle high schools americane ad essere chiamato con la prima scelta, dopo il cinese Yao Ming. L’evento non passa inosservato e non potrebbe essere altrimenti, vista l’epocale novità. Gli italiani sono orgogliosi e impazienti di poter vedere un loro giocatore dettar legge e rendersi protagonista fra le vere stelle della palla a spicchi. A sceglierlo sono i Toronto Raptors e molti pensano sia la soluzione migliore vista la presenza, come vice-presidente, di Maurizio Gherardini, che lo aiuterebbe nell’ambientamento e si sarebbe reso quasi un suo protettore. A Toronto però avevano deciso appena tre anni prima di puntare su Chris Bosh, uno dei tanti talenti americani del draft del 2003 e pari ruolo di Bargnani. Per facilitare la coesistenza fra le due giovani stelle il coach Sam Mitchell (mai stato un grande ammiratore del Mago) decide di farlo giocare soprattutto nel ruolo di centro, snaturando un po’ il suo stile prediletto di gioco. Nonostante il suo inizio non sia all’insegna delle luci della ribalta, la stagione è positiva sia per lui che per il team: Bargnani arriva secondo nel ROY alle spalle di Brandon Roy, forse penalizzato da un infortunio che lo tiene fuori nell’ultimo mese e mezzo di regular season. Toronto arriva invece terza nella Eastern Conference, risultato del tutto inaspettato, per poi perdere in maniera onorevole al primo turno dei playoff per 4 a 2 contro i più quotati New Jersey Nets. Le cifre del Mago sono più che buone anche nei playoff e questo fa ben sperare in ottica futura.
Peccato che i playoff li giocherà ancora la stagione successiva, e poi mai più. Le sue prime stagioni ai Raptors procedono con alterne fortune, il suo minutaggio e le sue statistiche crescono ma il rapporto con Mitchell non è dei migliori: la scelta di firmare Jermaine O’Neal nel suo terzo anno lo costringe a partire spesso dalla panchina, salvo poi trovare spazio nel ruolo inedito e fuori luogo di ala piccola. La sua crescita è però evidente e nelle successive stagioni diviene il faro dei canadesi. Le stagioni 2010 e 2011 sono le migliori dal punto di vista personale, complici anche l’addio di Bosh per Miami e la sua promozione a uomo franchigia. In questi due anni mantiene medie ottime, è costantemente nei primi 15 realizzatori della lega, si vocifera di All-Star Game e al Madison Square Garden, non un palazzetto qualsiasi, raggiunge il suo career high personale di 41 punti. A penalizzarlo sono il non eccelso andamento di Toronto, sempre impegnata a navigare nei bassifondi delle classifiche e gli infortuni che lo colgono in ogni stagione e nei momenti migliori. Il popolo canadese inizia a stufarsi, il ragazzo ha qualità ma non ha le caratteristiche del leader, non è un trascinatore ma piuttosto un ottimo comprimario. La leadership non gli è mai appartenuta in effetti, ma per risollevare ciò che aveva attorno sarebbe servito uno sforzo non indifferente anche da parte del miglior giocatore del pianeta. Le ultime due stagioni canadesi sono un calvario: passa più tempo in infermeria e le sorti della squadra ne risentono. In campo il suo atteggiamento poco grintoso irrita il pubblico, ormai totalmente mal disposto nei suoi confronti. Il presidente Colangelo, uno dei suoi più strenui difensori, si arrende all’evidenza e nell’estate del 2013 lo cede ai New York Knicks. Una liberazione per i tifosi dei Raptors ma soprattutto per lui, che da tempo attendeva una seconda vera occasione per costruirsi una nuova immagine e fama di giocatore. Passa un anno ed arrivati ad oggi, giorno del suo compleanno, è cambiato molto poco. La sua stagione nella capitale era partita bene ma, complice una situazione difficile da gestire per chiunque, è presto sfiorito assieme alla squadra, fuori dalla zona playoff. Scelte sbagliate, una capacità d’imporsi assente e limiti tecnici diventati un cult sia in America che in Italia.
Il rapporto del Mago con il nostro paese è difatti molto controverso. Il presupposto principale è che gli italiani non sanno forse valorizzare ciò che è loro, o forse le aspettative riposte in lui sono sempre state troppo alte o ottimistiche. Una discussione su Bargnani fra appassionati di questo sport può durare in eterno senza che le parti in causa trovino un compromesso o un accordo di mezzo. Chi lo difende ad oltranza, giustificando le sue ultime stagioni con gli infortuni e la sfortuna di essersi trovato in situazioni sfavorevoli, chi lo accusa costantemente di mancata cattiveria agonistica, quasi di passione per quello che fa, pronunciando quel binomio ormai inscindibile quando c’è di mezzo lui: “difesa e rimbalzi, rimbalzi e difesa”. Un motivetto giustificato dalle tendenze del Bargnani giocatore, ma diventato un luogo comune di chiunque voglia denigrarlo per hobby. Le performance in Nazionale di certo non hanno aiutato: qualche acuto piazzato qua e là ma senza una continuità di rendimento e anche di partecipazione, che abbia permesso a questo lodato gruppo di americani di essere la Nazionale che noi tifosi sognavamo e sogniamo ancora. Qui però le colpe non sono tutte sue ma vanno equamente divise fra uomini e staff tecnici.
Cosa fare dunque con lui? Le critiche sono sensate, in quanto da una scelta numero 1 al draft ci si attende sempre quel qualcosa di grandioso, di speciale, di epico, che lui non è ancora riuscito a dare alla sua carriera. Al tempo stesso è caldamente sconsigliato l’accanimento gratuito e presuntuoso di chi si rifiuta di riconoscere le sue qualità e non capisce che un suo recupero come giocatore è un grande guadagno per il movimento cestistico sia italiano, innanzitutto, che americano. La sua situazione attuale ai Knicks riassume la sua storia: tante belle parole su di lui spese da compagni, coach e dirigenza, la possibilità di rendersi utile in un sistema di gioco e di società finalmente chiaro e stabile, ma l’impossibilità di dimostrarlo. Un misterioso problema fisico, di natura non chiara, gli ha fatto vedere il parquet soltanto una volta finora. E noi tifosi ancora non sappiamo come esprimerci, che giudizio dare. Ci accumuna solo la speranza: quello di vederlo protagonista nell’Europeo della prossima estate.
Allora di nuovo tanti auguri Andrea, con la speranza di vedere la tua trasformazione da mago a profeta in patria.