Vite da NBA: Sam "I am" Cassell

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Quando ci tieni a ribadire la tua identità, significa che sei orgoglioso e fiero di te stesso, di quanto hai fatto, di come lo hai fatto e di come sei. E’ per questo che Samuel James Cassell è diventato Sam I am Cassell. Una carriera particolare la sua, ma anche ricca di soddisfazioni e di successi, arrivati proprio all’inizio e al culmine di una carriera che l’ha visto attraversare più di una generazione di giocatori. Proviamo a riassumerli, scandagliando un’attività agonistica spesso sottovalutata ma che ha avuto tutto ciò che un cestista americano può desiderare nella sua vita.
Il ragazzo si fa conoscere già in NCAA con la canotta della Florida State dove, assieme al compagno di squadra Bob Sura nella stagione 1992-1993, forma uno dei backcourt migliori di tutta la nazione, capace di mettere assieme 38.2 punti di media e 10.4 rimbalzi. I due trascinano il loro college fino alle prime 8 del torneo NCAA, dove si arrenderanno alla tradizione di Kentucky. Un college che, non dimenticando le gesta del suo bel play di 191 cm, in occasione di un match contro Wake Forest il 14 febbraio del 2008, ha deciso di ritirare la sua maglia; considerando la data, un vero gesto da innamorati veri. La sua maglia sarà sempre ammirata da tutti coloro che passeranno per Florida State, divenendo un modello, una fonte di ispirazione ma anche, un traguardo raggiungibile per pochi. Un valido motivo per ribadire, con fermezza, di essere Sam Cassell.
Come tutti i geni del college arriva la chiamata in NBA: con la scelta numero 24 finisce in Texas dagli Houston Rockets, la franchigia di un certo Olajuwon. Uno dei luoghi migliori per togliersi già da subito delle belle soddisfazioni. Sam non si lascia scappare l’occasione e, difatti, pur non essendo logicamente uno dei principali artefici, vince già due anelli nelle prime due stagioni  da professionista. Il suo contributo è notevole e tangibile: in entrambe le occasioni le sue medie di punti arrivano a migliorare nei playoff rispetto alla regular season, impresa che non tutti i rookie sono in grado di fare. In particolar modo la seconda stagione è molto redditizia, con una media di quasi 12 punti a partita nella vincente post season dei Rockets. Una breve carriera al college da idolo totale, l’arrivo in NBA e già il lusso di poter festeggiare, da protagonista, due anelli NBA, obiettivo che alcuni campioni rincorrono per una vita intera, spesso senza riuscirvi. Come avrebbe fatto a non dire con orgoglio “I am Sam Cassell” ?
Peccato che non tutti si accorgono chi lui è veramente. Dopo un’altra buona stagione alla corte di Hakeem, inizia un periodo in cui viene trattato come un comune banalissimo pacco postale. Nell’estate del 1996 viene spedito in Arizona, a Phoenix, una maxi-operazione per arrivare a Barkley. La vita coi Suns è però breve visto che subito viene rispedito in Texas, stavolta a Dallas. Anche qui gli è concesso appena il tempo di ambientarsi un poco, far vedere qualche numero per essere poi impacchettato per i New Jersey Nets.  Nessuno si ostina a credere in lui, tutti decidono di usarlo come pedina per arrivare a qualcosa di più goloso. Un uomo che tutti vogliono ma che nessuno ritiene indispensabile. A New Jersey si gode almeno  la tranquillità di un’intera stagione nella stessa franchigia. L’ebbrezza dura però poco.
Nel 1998-1999 altro giro, altra ruota. Sam è costretto nuovamente a fare e disfare le valigie, destinazione Milwaukee. Stavolta lui è deciso: non si può girovagare sempre, bisogna diventare leader una volta per tutte, tornare a quei vertici che lui ha subito assaporato nella sua carriera. Del resto, avrà pensato “I am Cassell”. Crederci sempre e ovunque. Con i Bucks passa 4 stagioni e mezzo, riportandoli a livelli di competitività alti.  Con lui ci sono Ray Allen e Glenn Robinson, insomma, un tridente mica male. In questo lasso di tempo riesce a togliersi numerose soddisfazioni: il suo career high di 40 punti contro Chicago, la vittoria del Fleer Shotoout nel sabato di All Star Game e, nella stagione 2002/2003, il superamento di quota 10.000 punti in carriera. In meno di dieci anni di carriera, fra spostamenti vari e frettolosi, un prestigioso traguardo non semplice da raggiungere. Un dilettevole misto dunque all’utile, poiché i Bucks come squadra non stanno sicuramente a guardare le altre. Nel 2001 soltanto Iverson e i suoi Sixers riescono a sbarrare la strada di Sam e compagni nelle finali di conference al termine di 7 gare serratissime.Per la celebrazione dei 40 anni della franchigia nel 2008, Cassell sarà premiato come uno dei 20 migliori giocatori della storia di Milwaukee.  Certi treni, seppur belli, passano però una volta sola, quella squadra si dissolve e, nell’estate del 2003 si aprono i cancelli di Minnesota.
Qui è l’inizio di un’altra bella storia, di un altro grande trio formato con Garnett e Sprewell, di una nuova franchigia da portare in alto. I Timberwolves sono nuovi e affamati e subito nel 2003/2004 rischiano di far l’exploit, raggiungendo per la prima volta della loro storia le finali della Western Conference. Soltanto i Lakers di Kobe e Shaq, incubo ricorrente per tutti in quegli anni, riescono a stroncare il loro sogno, nonostante la prima posizione acquisita a fine regular season. Un raggiungimento favorito forse dal miglior Cassell di sempre che viene votato nell’Nba second team di stagione e, per la prima volta, viene chiamato all’All Star Game nella partita dei giganti. Una delle poche cose che mancava nella carriera di un giocatore stra-sicuro di sè e capace di confermarsi, a distanza di 10 anni, ai livelli più alti del basket mondiale. Anzi, capace ancora di migliorarsi dopo 10 anni visto che i suoi 19.8 punti di media sono il suo record personale di stagione. Come per Milwaukee però, il treno passa solo una volta a Minnesota così, già dall’anno dopo quella squadra viene in parte disfatta, partendo proprio dalla cessione di Cassell ai disastrati Clippers.
Cassell riesce anche a rendere competitiva anche questa franchigia, trascinandola dai bassifondi della Conference sino alle semifinali dei playoff. E’ la stagione 2005/2006 e Cassell si gioca forse le sue ultime cartucce: se la miglior regular season l’ha fatta con la casacca dei Wolves, con i losangelini fa segnare con 18 punti di media tondi tondi il suo record di media nella post season, il tutto alla veneranda età di 37 anni. I paragoni con il vino si invecchiano ma, come il vino è destinato ad essere bevuto, un giocatore a quell’età dove cominciare a pensare a dove conservare le sue scarpette. Prima però, c’è tempo per un’ulteriore sfida, di quelle che contano davvero. Chiamano i Boston Celtics, quelli dei big three Pierce-Allen-Garnett. Gente che conosce bene il nostro Sam e che sa che c’è bisogno di una guida esperta, che conosce e ha già percorso la strada del successo. Firmando un contratto al minimo salariale nel marzo del 2008, nonostante l’inattività nei primi mesi di stagione, sforna una prestazione clamorosa il 17 marzo contro San Antonio,  segnando 17 punti negli ultimi minuti del match, sfiorando una clamorosa rimonta da -22 punti. Prestazione clamorosa per chi si appresta a scollinare i 40 anni. 
Non è tutto. Vi abbiamo detto che nel 2008 Cassell fu premiato sia dal suo vecchio college che da Milwaukee per i suoi ottimi trascorsi con le due squadre. Per il vecchio Sam però, le soddisfazioni in quell’anno magico arrivano ancora dal parquet. I Celtics non falliscono l’occasione d’oro e riescono a ottenere di nuovo un titolo NBA dopo un lunghissimo digiuno. Cassell si mette il terzo anello alla mano e può dire addio a una carriera esimia.
Chiudere a 40 anni sulla cresta dell’onda non è da tutti, vincere dei titoli all’alba e al tramonto di una carriera durata 15 anni, dando invece il meglio di sé nella parte centrale nemmeno, così come non lo è il rendere delle piccole franchigie come Bucks, Clippers e Timberwolves delle vere e proprie contender.  Sam queste cose le sa ed è per questo che fa bene a ribadire chi è realmente: Sam I am Cassell. Tanti auguri!