Uno degli aspetti più belli del nostro sport, la pallacanestro, è che varia in continuazione. Non troveremo mai due situazioni uguali tra loro, né due giocatori. A volte, però, capita che alcuni riescano ad ingabbiare tutte queste situazioni in un unico schema che permetta loro di comprendere e decidere quello che accade sul campo. Questo è il caso di Phil Jackson, che con la sua Triangle Offense cambiò per almeno due decadi il modo di intendere il gioco, stabilendo così la sua “dittatura sportiva” fatta di 11 titoli con due diverse squadre.
Non avrebbe di certo bisogno di presentazioni, il Maestro Zen. Ma nel caso qualcuno ancora non lo conoscesse, lui era (per dirne una) quell’allenatore che sedeva sulla panchina di una delle più famose e vincenti squadre di tutta la storia NBA: i Chicago Bulls di Michael Jordan. Con loro vinse sei titoli, tre tra il ’91 e il ’93 e tre tra il ’96 e il ’98, dando vita ad uno stile di gioco che nessuno riusciva a fermare, ad arginare. Parte del merito era sicuramente di Jordan, che sovrastava tutto e tutti con il suo 1 contro 1, ma nulla di ciò si sarebbe realizzato senza l’allenatore originario del Montana e la sua strategia fatta di triangoli. Poi, dopo aver lasciato i Bulls, si trasferì ai Lakers di Kobe e Shaq; squadra diversa, ma risultato simile: cinque titoli, tre tra il 2000 e il 2002 e due tra il 2009 e il 2010, sempre utilizzando la stessa Triangle Offense.
Passiamo quindi alla parte tecnica: che cos’è questa fantomatica Triangle Offense? Innanzitutto è importante specificare che non si tratta di un vero e proprio schema, bensì di ciò che i nostri colleghi americani chiamano “set”: l’azione inizia in un certo modo prestabilito e poi si svolge in base a quello che succede sul parquet. In questo caso, l’inizio del gioco avviene quando il playmaker passa la palla al giocatore in ala, e poi immediatamente taglia verso l’angolo del lato forte. Avendo, sempre sul lato forte, anche un giocatore posizionato in post basso, a questo punto nel quarto di campo della palla avremo un triangolo: da qui, ovviamente, prende il nome la giocata.
Dopo che si è formato questo triangolo, inizia il gioco vero e proprio; la prima opzione offensiva è il passaggio al post basso per un tiro da vicino, ma se ciò non accade inizia un frenetico movimento di palla a ribaltare, in modo da muovere la difesa e costringerla a rincorrere. Oltre a questi continui ribaltamenti, altro aspetto caratterizzante delle squadre di Jackson sono i blocchi, per lo più ciechi: questo ovviamente per creare buoni tagli a canestro che portino a facili lay-up. Se questo movimento di palla e di giocatori viene attuato nel modo giusto, ossia più velocemente possibile, si raggiunge l’obiettivo prefissato: creare buone spaziature difficilmente colmabili dalla difesa e, con esse, trovare le migliori linee di passaggio.
Questa, dunque, è una delle tattiche più prolifiche di sempre, ma guardando come si è evoluto il mondo del basket oggi la domanda sorge spontanea: in questa NBA fatta di triple impossibili e One-man-show, sarebbero ancora ugualmente efficaci i triangoli del vecchio Phil?