Total Basket/4 – Lewis “Black Magic” Lloyd, alla ricerca del basket perduto

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Se i numeri non mentono, quelli della Magia Nera nella Sonny Hill League parlano chiaro: a referto, i punti pesavano quanto i rimbalzi, un ventello a uscita, e per le stoppate bastava dividere per I re. Ovvio che una simile macchina non solo realizzativa, che a fine Anni 70 dominava i playground di Philly, fosse destinata ai pro. Striscia bianca permettendo.

LEWIS KEVIN LLOYD –  CHI E’

Nato: Philadelphia (Pennsylvania, USA), 22-2-1959

Ruolo: guardia

Statura e peso: 1.97 x 93 kg

High school: Overbrook (Los Angeles)

College: New Mexico Military Institute, Drake University

Draft NBA: 4° giro, 7a pick (77a assoluta), Golden State Warriors (1981)

Pro: Golden State Warriors (1981-1983), Houston Rockets (1983- 1987; 1989), Philadelphia 76ers (1989-90); Phila Aces (USBL, 1988, 1990).

Lewis Kevin Lloyd nasce nella Città dell’Amore Fraterno il 22 febbraio 1959. A rafforzarne il senso di predestinazione la scelta della high school, la Overbrook, già alma mater di Wilton Norman lamberlain. Le analogie, però, si fermano lì. I paragoni, anche i più fuorvianti, no. Anche perché il rampollo, per emulare il Mito, li mette del suo, a forze di affondate, letterali a canestro e metaforiche in finali perse.

In un all-star game per liceali, in Ohio, “Black Magic”, come amava farsi chiamare in risposta a Fran “White Magic” McCaffery, prende palla in lunetta, accenna il tipico sorrisetto beffardo e contro il 2.07 DeWayne Scales (poi in NBA per 49 gare con New York e Washington nei primi anni 80) schiaccia con violenza tale che illusi si frattura una mano.

Nel 1976, da junior, arriva in fondo alla Public League. Nei quarti, Overbrook piega 69-65 Frankford: per Lloyd 24 punti (con 12/22 aI tiro) e 18 rimbalzi. In semifinale, giocata alla Lincoln, Germantown perde 89-67: per Lloyd 20+16. In finale, a The Palestra, Lloyd I 8+17) è il migliore dei Panthers nella sconfitta per 89-78 contro la West Phila dei suoi coetanei Gene Banks (23+22) e Darryl “City Iights” Warwick (20 punti e 5 assist) e del sophomore Clarence Iggy” Tillman, che domina nel mezzo: 26 punti e 20 rimbalzi.

L’anno dopo, da all-city, somma 22 punti e 20 rimbalzi nel 71- 62 sulla Dobbins nei quarti e 37 punti (14/19 al tiro, 9/11 dalla lunetta) e 17 rimbalzi) nel 77-66 alla Southern in semifinale. In finale, però, i suoi 19 punti e 13 rimbalzi, non bastano: davanti agli oltre 8.000 a The Palestra, con Banks in panca per motivi disciplinari, West Phila vince 61-51.

Dopo infanzia e adolescenza vissute nel ghetto, la redenzione cestistica pare in discesa fino al college. Di passaggio al New Mexico Military Institute di Roswell, dove un evento di tale portata non si registrava dalle 21.50 di mercoledì 2 luglio 1947, quando a 100 km più a nord-ovest William Ware “Mac” Brazel capì dalla violenta deflagrazione che, nel ranch di J.B. Foster dove allevava pecore, era atterrato un Unidentified Flying Object (UFO). E, soprattutto, alla Drake University di Des Moines, Iowa (non proprio al centro dell’impero del college basketball): Matricola e Giocatore dell’anno 1979-80 della Missouri Valley Conference; terzo quintetto Ali-American per la Associated Press da junior e da senior; record (tuttora imbattuto) dei Bulldogs per punti in una stagione, 30.2 per gara); secondo della nazione nei punti da junior.

Da senior, quarto nei marcatori (26.3) e di nuovo Player of the Year della MVC, trascina la squadra di coach Bob Ortegel al NIT del 1981. Quasi consequenziale che Lloyd, 28 punti e 12 rimbalzi di media al college, si veda ritirato il numero 30. Onore toccato prima solo al 33 di Red Murrell, leggendario fromboliere nel qua-triennio 1955-1958, che però infastidì non poco fior di ex coni Willie McCarter, Dolph Pulliam e Jeff Halliburton, che guidarono i Bulldogs di coach Maury John alla Final Four 1968-69 e il Torneo NCAA nelle due stagioni successive.

Per Lloyd però l’onorificenza era inevitabile. Come il suo approdo nella NBA. Che arriva sì, ma nella squadra sbagliata e con una chiamata al Draft 1981 inaspettatamente bassa: la settima del qual to giro (76a assoluta) da parte dei Golden State Warriors, che prima di lui, alla pick 10, avevano scelto Sam Williams di Arizona il secondo giro e Carlton Neverson di University of Pittsburgh (We,t Virginia) al terzo.

Due anni in California, a 3.6 e 9.4 punti per gara (16 giocate da rookie, 73 da sophomore), quindi il passaggio agli Houston Rockets a giocarsi un posto nel backcourt con Mitch Wiggins e Allen Leavell. E con la finale del 1986, raggiunta a 16.9 punti di media e persa 4-2 con i Boston Celtics forse più forti di sempre – se non altro nel front-court Bird-McHale-Parish – come climax di una carriera stroncata dalla cocaina l’anno successivo.

Dal 25 febbraio 1986, la Lega aveva adottato la linea dura: squalifica per violazione della drug policy al 4 volte All-Star NBA Michael “Sugar” Ray Richardson dei New York Knicks. 11 13 gennaio 1987, identico provvedimento per Lewis Lloyd e Mitchell Wiggins dei Rockets.

Lloyd sarà riammesso il 9 settembre 1989, ma a differenza di Wiggins (15.5 punti di media dopo il reintegro), non andrà più in doppia cifra. Anzi, non sarà più lui. E dopo 19 gare con i Philadelphia 76ers e 2 di nuovo ai Rockets, dirà addio ai pro.

Oggi storie così valgono al più una breve in cronaca, come è avvenuto il 27 gennaio 2006 per Chris “Birdman” Andersen, out per due anni perché positivo a un test antidroga. Ma ai tempi, ben prima dei vari Roy Tarpley di Dallas e Richard Dumas di Phoenix (1991), Stanley Roberts di Philadelphia (1999), Don MacLean di Miami (2000) e Maurice Taylor di Houston (2003), il caso Lloyd rece scalpore.

«Sulla base delle nostre approfondite indagini, siamo certi che Lloyd è uscito dalla tossicodipendenza» dirà il Commissioner David Stern, ancora con occhialini e baffetti molto Eighties, nel riammetterlo nella NBA.

In quei 32 mesi, però, “Black Magic” aveva smarrito il suo basket. Provò a riacchiapparlo a 30.8 di media nei Phila Aces della USBL prima del fugace, patetico ritorno in NBA. Ma non era più lui. Il feroce rivale di Gene Banks, secondo il quale Lewis «giocava ,nt leggerezza tale da renderlo inarrestabile, perché segnava in tutti modi. Aveva un gran finger roll e uno splendido tiro in sospensione. In attacco, se gliene davi la possibilità, ti uccideva. E in difesa, semplicemente, ti asfissiava». Ormai oltre i cinquanta, e alla faccia delle ricorrenti voci che lo uno già nell’aldilà, lo si può incrociare per le strade di West Philly, con i soliti modi garbati e una palla in mano, sempre a caccia di summer league. Il suo basket lo ha lasciato, ma lui non ha smesso di inseguirlo.